Torino, Vinovo. Un’altra donna morta. Emanuela non era solo la compagna di Gianfranco era una donna, mi colpisce il fatto che in alcuni articoli non ci sia il suo nome ma solo quel termine “compagna di”.

In realtà, avrebbero dovuto scrivere che quella era un ex compagna, ma non lo fanno.

Lei e l’assassino stavano insieme da una decina d’anni e si erano lasciati da una ventina di giorni. Emanuela lo aveva lasciato.

Vorrei fosse chiaro una volta per tutte che non è la separazione ad uccidere le donne, ma la mano dell’uomo che non l’ha accettata.

Non accettare una separazione presuppone considerare l’altro come un oggetto “tuo per sempre”, presuppone un rapporto in disequilibrio di violenza e dominazione che esisteva anche prima della separazione.

Una donna che vuole lasciare un uomo si trova davanti ad una scelta quasi impossibile, a volte. Se non viene uccisa, viene martoriata, mortificata, ricattata.

Si torna sempre lì, alla scuola, al bisogno di inserire percorsi sul genere fin dalla scuola materna, discorsi sulla sessualità e il rispetto delle relazioni.

Qualcuno continua a scrivere che siamo libere, non lo siamo da vive e non lo siamo da morte, perché, tutte le volte che una di noi muore si dovrebbe scrivere la verità, raccontare la violenza silente, quella partita giocata in casa in cui i ruoli sono chiari: ti rispetto fino a quando io sono il tuo centro, altrimenti non esisti più.

E, sinceramente, il suicidio, lasciatemelo dire, lo trovo un altro delirio di onnipotenza. Senza di me non solo non esisterai tu, ma non ci sarà mai più niente.

“In tutto il mondo una delle prime cause di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio compiuto spesso da persone conosciute, in particolare mariti, compagni, partner o ex partner. E l’Italia non fa eccezione: l’omicidio è la più grave di una serie di violenze che molte donne subiscono durante la loro esistenza. Secondo l’Istat, nel paese una donna su tre ha subìto qualche forma di violenza nel corso della sua vita, specialmente in famiglia (da Internazionale).

Nonostante le donne muoiano come pedine del domino, non solo in Italia ma, appunto nel mondo, non si sente mai o non si legge una parola in più sul carnefice. Non si ipotizzano mai situazioni di violenza pregressa, tutto viene collocato all’interno della separazione, come fosse questa la causa del femminicidio e non il dominio dell’uomo sulla donna.

È questa la storia che non viene raccontata, rafforzando ogni volta quel sotto pensiero per cui se le donne restano, non si ribellano o come dicono molti “non hanno colpi di testa” non gli succederà nulla. Non verranno menate e non moriranno.

Siete libere, dicono alcuni uomini e alcune donne, convinti entrambi che l’uguaglianza sia stata raggiunta. Potete scegliere, ci ripetono e noi a volte ci crediamo cercando di liberarci dalla sottomissione come probabilmente ha tentato di fare Emanuela, invece moriamo sotto il fuoco amico. Quello dell’uomo. Ex compagno, ex marito, ex fidanzato.

E quando una donna prova a smarcarsi, se non è quell’uomo a privarla della dignità e della vita, lo fanno le parole che ne seguono, incise sui quotidiani, parole che mettono al centro della tragedia la separazione invece della responsabilità dell’assassino.

In qualche modo assolvendolo ancora e ancora.

Penny

 

 

 

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