Lei ha dieci anni, si appresta ad andare al mare, indossa il costume e un paio di pantaloncini. Lui, suo fratello, quattordici anni, indossa solo il costume.

Stanno per uscire di casa. Asciugamano sul braccio. Lui le dice: “Mettiti una maglietta”.

“No” risponde decisa lei.

“Indossa la maglietta, non puoi venire così” la riprende di nuovo.

“Perché, anche tu non hai la maglietta?”.

Lui insiste, allora, io mi inserisco e chiedo spiegazioni, lui si gira verso di me e mi dice:

“Poi tocca a me difenderla!”.

Premessa. I genitori di questi due ragazzini, miei amici, sono sensibilissimi e attenti agli stereotipi di genere.

Quindi è chiaro come la cultura sul corpo delle donne e sulle ragazze, il gioco protezione ( maschile) e difesa ( femminile) affonda radici nell’aria che respiriamo, e appare chiaro come una famiglia attenta non basta per caderci dentro.

Da questa comunicazione tra fratelli che si vogliono bene, lei impara presto che il suo corpo deve coprirlo non solo se non vuole finire male, ma che le sue azioni, se non si comporta “come si deve” possano ricadere su chi ha vicino.

Impara presto che non è libera. E il suo corpo è una minaccia.

Lui si fa carico presto di una protezione sul femminile ( tocca a me proteggerti che sono maschio) che rischia di diventare normalizzazione e ricadrà all’ interno delle sue relazioni future.

Per questo parlo e insisto sull’educazione, perché è l’unico terreno neutro in cui inserire dialoghi aperti e di crescita su atteggiamenti stereotipati che influiscono poi sulle nostre vite.

Ci sono ragazze fortemente inibite e altre che utilizzano il corpo come merce in vetrina. Sono la stessa faccia della stessa medaglia: la sfera del pregiudizio.

I ragazzi guardano e proteggono in base alla relazione che possiedono. Proteggeranno la sorella, la fidanzata che tende a mostrarsi e daranno appellativi alle altre donne dividendo il mondo femminile in due categorie: le sante e le troie.

Noi ci portiamo appresso questo stereotipo e ogni nostra azione è volta a stare in equilibrio tra l’una e l’altra cosa.

Se ci vestiamo in un certo modo veniamo considerate troie, però, se non ci curiamo in un certo modo siamo criticate ecc…in un circolo vizioso che ha un unico scopo: inibire la nostra libertà.

A volte in maniera molto inconsapevole, ma, spesso, inizia molto presto.

Ancora bambine impariamo che il nostro corpo, appunto, è una minaccia e non sono gli altri da correggere, ma noi, perché li provochiamo.

Semplice riflessione di oggi: come facciamo ad amare e trattare bene noi stesse e il nostro corpo dentro a una cultura di questo tipo?

Di certo, quando apriamo gli occhi non li chiudiamo più, e se intorno a noi gli altri continuano a non vedere, sono solitudini profonde. A volte separazioni e abbandoni.

Abbiamo perso tanto tempo aggiustandoci di continuo, facciamo in modo che le nostre bambine e le nostre figlie imparino a liberarsi prima di noi.

Continuiamo a guardare.

Quella maglietta dobbiamo essere libere di poterla indossare oppure no, come fanno i maschi, senza che nessuno pensi a dieci anni e anche dopo, che sia una qualche forma di consenso.

Non pensiamo di doverci aggiustare, aggiustiamo la cultura sessista e progrediamo liberandoci dagli stereotipi, sempre più libere di scegliere.

Penny

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