Quando un bambino muore mi chiedo sempre come sia stato possibile.
I bambini dovrebbero giocare, studiare, essere amati.
Nel giro di pochi giorni un piccolo di 21 mesi è stato ucciso dalle botte, l’altro, 4 anni, è stato ritrovato in condizioni terribili dopo giorni di ricerche.
Entrambi vivevano nelle nostre città, entrambi avevano un padre e una madre, dei nonni, delle persone che si dovevano prendere cura di lui.
Non li ha uccisi un mostro venuto da chissà chi.
Sono morti dentro alle loro famiglie. Dentro alla nostra società.
Una società che si tappa gli occhi di fronte al dolore e la sofferenza e troppe volte la considera un problema individuale.
Invece, questi due bambini sono morti anche per la direzione che hanno preso le cose nella nostra società.
Il lavoro è sempre più precario, i servizi sociali hanno milioni di casi, poco personale e pochi fondi.
Pochi sono i fondi per la sanità, in alcuni casi quella pubblica è stata smantellata a favore del privato.
Ma il privato, dovremmo ricordarcelo, non tutela tutti, tutela solo chi può pagarsi il biglietto d’ingresso.
Se muoiono due bambini e muoiono in un contesto famigliare, possiamo dare le responsabilità (e chi le ha spero paghi per ciò che ha fatto), ma dobbiamo chiederci come mai quei bambini non siamo riusciti a salvarli.
In quel contesto ci siamo anche noi e la società che stiamo costruendo.
Una madre stava male, ha chiesto aiuto. Poi è tornata a casa e ha ripreso la sua vita ma, a quanto pare, quel malessere esisteva. Un padre in cassa integrazione che cerca una spiegazione a queste sue morti.
Un altro padre che vede i lividi, denuncia ma ha bisogno di lavorare, un lavoro lontano è precario, il bambino torna nelle mani dei suoi carnefici. Ci sono dei nonni che stanno zitti. Assistenti sociali che non sono intervenuti.
Dobbiamo scegliere che tipo di società vogliamo essere se “prenderci cura” o lasciare che ognuno pensi per sé.
Se vogliamo prenderci cura dobbiamo spingere affinché i servizi alla persona vengano implementati, i consultori, i servizi educativi e per farlo dobbiamo investire.
Che la sanità e l’istruzione siano accessibili a tutti e siano un presidio sul territorio.
Se questi due bambini li collochiamo fuori dal contesto in cui abitavano, ovvero famiglie a quanto pare in fragilità, sbagliamo di grosso.
Quella fragilità non può essere svuotata dalla società che la permette.
Con questo non giustifico nessuno, sia chiaro, ma nemmeno me stessa e l’Italia a cui appartengo.
Se muoiono due bambini qualcosa dentro al meccanismo non ha funzionato. Le istituzioni non hanno funzionato.
Le morti di questi bambini sono un fatto pubblico, un buco nero dentro alla nostra società.
Gli investimenti verso “la cura delle persone” non sono mai persi, non chiudere i consultori, aprire un ospedale pubblico, implementare i servizi sociali, i centri antiviolenza, gli asili e i servizi per l’infanzia, sostenere le famiglie, non produrranno profitto ma forse, dico forse, avrebbero protetto questi due bambini.
Sono due. E sono troppi.
Una società in cui i suoi figli muoiono non ha futuro. Ci sarà chiaro adesso?
Penny