Le donne stanno pagando la crisi e la pagano cara.

Le persone che hanno subito un contraccolpo attraverso la sospensione lavorativa sono le donne. La pagano perché le loro occupazioni sono da sempre quelle più fragili e precarie, perché per mesi e mesi, ovvero durante la pandemia, le donne si sono dovute occupare dei figli e non solo.

Lo smart working, di cui tanto si parla, per le donne non è stato reale, le donne non hanno scelto tempi e flessibilità, per loro non ci sono porte chiuse in cui lavorare in pace.

Per le donne ci sono lavatrici da fare, pranzi da cucinare, bambini da accudire. Tutto quel lavoro che spesso è delegato e non viene retribuito.

La verità è che il lavoro a distanza mette le donne in una condizione di nuovo di non riconoscimento del lavoro di cura e la crisi le ha confinate ancora di più, le ha tolte da un sistema di relazione importante, le ha portate all’isolamento (si salvi chi può), favorendone il controllo.

Come la chiamiamo? Segregazione occupazionale?

Il tasso di occupazione è meno del 50%, l’emancipazione reale, l’indipendenza economica non può cambiare se ci vede sempre e continuamente legate alla casa.

Ad esempio il settore della ristorazione ha visto 60.000 esuberi, l’80% sono donne.

Il valore della diversità dovrebbe essere presente nelle scelte del governo, nella destinazione dei fondi del recovery Found. Il sesso non è un destino, non dovrebbe esserlo.

Per creare un sistema di giustizia e di equità all’interno della nostra economia dovrebbero esserci investimenti sociali nei servizi e anche nella cura degli anziani, ampliamento di asili nido che permettano alle donne di partecipare alla vita economica del paese.

E poi, bisognerebbe investire nella scuola come creazione di conoscenza, c’è bisogno di combattere la povertà educativa, che esiste, e di creare delle comunità educanti.

Se non ci sarà riduzione delle disuguaglianze, una tra queste le differenze tra uomini e donne, resteremo uno Stato in coda all’Europa, arretrato e fermo.

Qualcuno mi deve spiegare perché una donna sia in grado di conciliare lavoro e cura ed a un uomo non sia richiesto. Perché?

Dovrebbe cambiare il paradigma, la cura è relazione e dovrebbe essere considerata parte integrante del nostro sistema economico e il governo dovrebbe farsene carico.

Solo inserendola all’interno del sistema retributivo, ampliando i servizi, potremmo riequilibrare il potere, infatti, anche dove c’è stata una ripresa economica, l’Istat ci dice che il tasso di disoccupazione femminile sale.

Questa crisi sanitaria e di cura ci impone una riflessione e l’obbligo di una nuova visione di genere, il valore delle diversità ( tutte) deve essere presente nelle scelte di uno Stato sociale giusto. 

Questa volta non si può prescindere dalla rivoluzione della cura. Dobbiamo pretenderlo. E l’economia deve trattarla, considerarla come parte del sistema. Altrimenti noi donne continueremo a soccomberemo sotto il peso della conciliazione.

Continueremo a perdere il lavoro, continueremo ad essere abusate e uccise.

La correlazione tra la dipendenza economica delle donne e la violenza di genere è strettissima.

È ora di cambiare il paradigma. Occhi puntati al futuro, alle proposte economiche del governo.

Che dire: Siamo tornate!

Attente, vigili e più consapevoli.

Penny

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