Ieri ho portato nei giardini sotto casa mia la mia cana Alaska. Di fronte ai giardini c’è una scuola media, una classe faceva educazione fisica all’aperto.

C’erano una ventina tra ragazzini e ragazzine che alzavano le braccia, le allungavano, e cose così. In mezzo a loro c’era anche un ragazzo in sedia rotelle, il corpo piuttosto abbandonato a se stesso.

Dietro di lui un’insegnante di sostegno in tuta da ginnastica. Gli alzava le braccia, gliele allungava, si spostava avanti e indietro dalla sedia a rotelle facendogli fare gli stessi esercizi dei compagni.

Avrei voluto fare una fotografia di una situazione che dovrebbe essere la norma e non lo è, così bella da farmi mancare il fiato.

Basterebbe avere le risorse, a volte, per far davvero funzionare la scuola pubblica.

I ragazzi in quella situazione hanno fatto davvero scuola con la S maiuscola, hanno svolto educazione motoria e hanno imparato, sperimentato l’inclusione. La scuola appunto.

Basterebbero due insegnanti in classe per far funzionare le cose, per renderle possibili. Basterebbe che le insegnanti di sostegno fossero considerate risorsa e non spesa.

Basterebbe che i disabili, e tutti i ragazzi e i bambini in difficoltà anche non evidenti, avessero la possibilità di tempo dedicato. Avessero occasioni.

A scuola, a volte, si ha la percezione che sia in vigore la selezione naturale. Chi resiste vince. Chi è “normale”, chi può economicamente e ha risorse famigliari, arriva in fondo. Gli altri si fottano!

Invece i tempi dei bambini e dei ragazzi non sono mai gli stessi. Invece, per alcuni, la fragilità è parte integrante dell’esistenza. Per altri riconoscere le proprie difficoltà è potersi concedere di essere ciò che si è. Anche dei disastri in certe materie, acquisizioni o competenze.

Un insegnante può rendere possibili traguardi impossibili, può cambiare lo sguardo su di sé e sul mondo, può far fare ginnastica un venerdì di ottobre ad un ragazzo in sedia a rotelle insieme ai suoi compagni e creare un’ opera straordinaria.

Perché dentro al dipinto ci sono tutti. Anche quei ragazzini considerati normodotati che imparano a “tenere dentro” e a non escludere, ghettizzare, negare le difficoltà, non solo quelle del compagno ma anche le proprie.

Imparano che nella vita senza gli altri non siamo niente o molto poco ed è necessario procedere insieme se vogliamo rendere il mondo un luogo bello in cui sostare. È che “salvare” se stessi non è sufficiente. E, soprattutto, non basta mai.

Penny

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

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