Temo la chiusura della scuola. Ho un’angoscia nel petto che non so spiegare.
Con questo non voglio dire che non sia giusto, nessuno possiede la bacchetta magica, voglio dire che l’incontro quotidiano con i bambini per me, e credo anche per loro sia qualcosa di veramente prezioso. Lo era prima, di questi tempi lo è ancora di più. Qualcosa che permette a tutti di non perdere la bussola.
Da una parte continuo a pensare che la scuola non sia un ricettacolo del virus ( ma non sono un’esperta), soprattutto la primaria che è scuola di quartiere, di solito non si prendono i mezzi per raggiungerla, i bambini non sono ragazzi e non si sbaciucchiano come non ci fosse un domani.
Continuo a pensare che il distanziamento, anche se con molta fatica da parte di tutti, sia possibile mantenerlo. I bambini si comportano bene, sanno cosa fare, si disinfettano un sacco di volte, quasi fosse diventato un gioco.
Spesso tengono la mascherina, anche se potrebbero toglierla, per alcuni credo sia diventata una specie di coperta di Linus, si sente poco quando parlano, ma siamo insieme e come ho già detto: questo conta.
Per me questo tempo è qualcosa di necessario. Gli sguardi, le parole, il poter guardare fuori dalla finestra, andare in giardino, mangiare insieme (con tutte le precauzioni), studiare storia (che è diverso farlo a casa da soli!), quelle alzate di mano continue, la lettura di un libro che entusiasma, tutto questo è la vita che continua.
È come se chiudessimo la porta e permettessimo ai bambini e alle bambine di rendere possibile il futuro.
“Vado a Bufalora” mi ha detto un bambino prima di uscire venerdì.
“Allora, lunedì, porta un po’ di bosco in classe” gli ho risposto.
Era felice e pure io.
E su quel bosco si aprirà una discussione e magari ne nascerà una poesia. È sempre bello quando nasce qualcosa.
Ogni sera aspetto notizie. Ogni volta il cuore ha una caduta: dove stiamo sbagliando? Vedo scene alla televisione incredibili di guerriglia, ragazzi giovanissimi con felpe firmate che spaccano vetrine indistintamente. A me quella rabbia che ha come scopo la distruzione e non la costruzione, fa solo paura.
Allora, mi aggrappo a quel pensiero. Quei bambini che imparano e ascoltano ammaliati da una lettura, che si disinfettano le mani e hanno la mascherina che, a volte tira troppo, a volte è sporca, ma è più o meno al suo posto.
Mi aggrappo a quella corsa che fanno per entrare nel portone della scuola e venire verso di noi. Le loro maestre.
E, aspetto, il bosco. Le poesie. La scuola che salva.
Penny
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/