Non ho mai avuto certezze. Mai come donna, figuriamoci come madre. Quando le altre persone mi espongono il loro pensiero io penso sempre: “Forse hanno ragione”. Poi lo stomaco si fa dolorante e allora capisco che qualcosa non va.

Valgono tutti tranne me.

Il mio stomaco e la pancia, insomma, quei luoghi lì, per quanto mi riguarda, sono la misura di tutte le cose.

Dentro la mia pancia sono cresciute le mie figlie, capacità elastica di allargarsi, contenere, far germogliare. Forse è questo che non ci perdonano alcuni uomini, quella vicinanza impossibile da eguagliare che diventa un alibi.

Ad ogni modo, ritornando al dubbio, ricordo il senso di frustrazione quando, post asilo, accompagnavo le mie bimbe ai giardini e mi fermavo a parlare con le mamme di turno. O meglio, loro parlavano io inseguivo su e giù la piccola perché non c’era verso di tenerla ferma. Le ascoltavo con attenzione e le ammiravo.

Provavo ad eguagliarle con un senso di frustrazione altissimo perché le mie regole erano cedevoli, tornavo sui miei passi spesso, certe “idee” per me erano faticosissime da portare avanti: “Non vedrete cartoni per una settimana!” Al terzo giorno di strilli, urla e rincorse, la tv gliel’avrei messa in camera!

La cosa terribile è che ancora adesso mi succede così, dentro alla mia solitudine di madre-padre mi arrabatto. Ad esempio, ora come allora, invidio le madri da lettura serale. La piccola mi ha tormentato, si attaccava al seno per ore ed ore, appena provavo a staccarla si svegliava, così per il quieto vivere, restavo inchiodata alla poltrona fino a notte fonda pur di dormire un po’.

Quando è cresciuta, è passata al dito, per addormentarsi aveva bisogno di sfregare il suo dito sul mio?‍♀️. Sceneggiate incredibili! Io ci provavo a farla addormentare da sola, mi dicevo: così si fa!, ma quando arrivava in cucina moribonda e piangente alle 11 di sera, dicendomi che si sarebbe uccisa, io la portavo nel lettone. Distrutte entrambe.

A pensarci ora non so chi delle due fosse più patologica trame e lei?; ad ogni modo è stata una psicologa ad aiutarmi, mi ha detto una frase semplice senza farmi sentire in colpa: “ Se non molli quel dito, lei penserà di non farcela da sola, penserà di aver sempre bisogno di te”.

Ce l’abbiamo fatta, ma l’addormentamento è rimasto uno dei momenti più stressanti nella sfera dei ricordi, milioni di letture e lei non si addormentava! Altro che lucina accesa e momento magico, appena provavo a sgattaiolare la “stronza” si ridestava immediatamente!

Altro capitolo. I libri. Libri sparsi per casa, madre lettrice e le due non leggono comunque! Un tempo avrei pensato di essere un fallimento, un tempo, quello che mi serviva era una Louis Vuitton per sentirmi dentro alla parte, una collanina con le mie bambine al collo in modo che tutti vedessero che ero madre e sottintendessero che fossi moglie (parlo per me non sentitevi giudicate), ora sono davvero un’altra persona, ho concesso al mio animo di aderirmi anche nel casino.

La verità è che dentro alla maternità annaspavo e lo faccio ancora, annaspo. Sono cedevole e incerta. A volte, alle mie figlie, dico persino: “Vi ho detto una cazzata! Scusate, ho sbroccato, ero stanca!”.

Sono incerta sull’orario serale di rientro, incerta sulle regole rigide e se loro mi danno motivi buoni per ricredermi, lo faccio, ritorno sui miei passi. A volte ridono e mi danno della pazza ma, in fondo, credo capiscano come mi sento, perché le incertezze fanno parte anche della loro esistenza.

Educare al dubbio mi sembra un obiettivo come madre, tra l’altro, non mi viene per niente difficile ?.

Educare al dubbio vuol dire sondare le possibilità e sentire quella che ci appartiene. Vuol dire permettere uno spirito critico, un’anima che indaga l’esistenza e non si accontenta di confini confinanti.

Diciamo che sarebbe bello attraverso la mia esperienza caotica avergli insegnato che nella maternità, così come nella vita, non c’è nulla di certo. Che lo sforzo dovrebbe essere quello di trovare il proprio passo, di stare più o meno in disequilibrio. Perché non possiamo insegnare a cadere se non ce lo permettiamo per prime come madri e come donne.

Così, a quarantanove anni, mi guardo indietro con tenerezza e penso spesso ( forse per il periodo cupo) al tempo che resta, a quel dubbio che rimane una bella costante delle nostre esistenze.

Penso che non cambierà molto da qui in avanti, se non che le mie figlie non avranno bisogno di “indossare” la strada di altre donne o uomini, ma cercheranno la loro a cui aderire, sapendo che solo così potranno fare la cosa giusta.

Penny

I primi di ottobre è uscito questo mio albo. Un modo diverso di pensare la genitorialitá. Un’eredità per i figli.

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

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