In questi ultimi giorni sono successe un paio di cose. Parto dalla prima perché mi ci vuole “spazio emotivo” per poterne parlare, affronterò l’altra in un secondo momento.

È mancata una donna nel mio quartiere, oggi ci sono i funerali, non eravamo in confidenza, ma i suoi tre figli vanno agli scout come le mie ragazze. E ai campi ci si incontra, si scambiano quattro chiacchiere, le vite non si fermano ma si sfiorano. Aveva più o meno la mia età ed era madre come me.

Se n’è andata all’improvviso, la sera ha partecipato alla riunione dei genitori scout e stava bene, durante la notte si è sentita male.

Come non pensare che è capitato a lei ma potrebbe succedere ad ognuna di noi.

Sapete che rispetto a Dio sono ancora un po’ confusa, ma credo molto nella spiritualità e nella libertà di sceglierla secondo il proprie sentire.

Maria, così si chiama, perché sarà sempre la madre di quei tre ragazzi, era credente, e per lei è stata organizzata una preghiera in Chiesa a cui ho partecipato.

Il silenzio prolungato, la voce di una giovane donna alla chitarra, le lettere dedicate e l’omelia mi hanno commossa. Il prete ha parlato di passaggi. Ha detto: “Ci sono diversi tipi di passaggio, ad alcuni ci si può in qualche modo preparare, ad altri no”.

Avevo vicino una delle mie figlie e la grande dietro con una sua amica. La piccola piangeva come una fontana. Non so come possano superare il dolore i figli di Maria, ma lo faranno, ne sono sicura.

Anche questo è un nostro compito di madri e padri, permettere quel passaggio, permettere che dopo di noi, oltre noi, i nostri figli trovino le risorse per andare avanti.

Per questo dico che la genitorialità non può chiudersi all’interno della propria famiglia, in uno sguardo opaco sul mondo. Dobbiamo allargare quello sguardo, perché sarà quello che resterà dopo di noi.

Ognuno avrebbe bisogno di sentirsi parte. Non importa se di un gruppo sociale, partitico, educativo, un’idea, un progetto o cosa. Insegnare la partecipazione e praticarla come madri è necessario. Ora più che mai. Anche in questo momento così buio per la nostra storia. Non chiamarsi fuori come adulti vuol dire proteggere davvero i nostri figli.

Maria aveva la sua comunità, io l’ho sentita in quella chiesa, ho sentito che i nostri ragazzi si faranno coperta per i figli di Maria e credo che questo sia merito suo.

Le mie figlie quando sono uscite, prima una e poi l’altra, mi hanno detto: “Se ti succede qualcosa, io mi uccido. Non ci voglio pensare”.

So che sono parole legate alla commozione e al dolore e voi, che conoscete la mia storia, sapete come mi possa sentire, ma so che devo spingere affinché non smettano mai di sentirsi parte, devo spingere all’adesione all’altro, oltre me, quell’altro, si chiama Umanità.

Non si può chiudere i figlie e noi stesse dentro ad un cerchio salvifico che non comprenda gli altri, il mondo, il suo cielo, la sua gente. Nei vari compiti che ci spettano, forse, insegnare ad appartenere cedendo il passo, è il più difficile.

Permettere i passaggi. Qualunque essi siano. Anche quelli a cui non saremo e non saranno mai abbastanza preparati.

E niente, vi abbraccio tanto.

Penny

I primi di ottobre è uscito questo mio albo. Un modo diverso di pensare la genitorialitá. Un’eredità per i figli.

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

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