La storia è terribile. Italia. Palermo. Una bambina di 10 anni, la stessa età dei miei alunni, partecipa ad un gioco “Black out challenge” su Tik Tok.
Il gioco consiste nel legarsi una corda al collo, lei ha preso quella del suo accappatoio e ha tirato, seguendo una serie di passaggi, vince chi resiste di più.
Si chiamano: Prove di resistenza.
Morte cerebrale, il suo cuore si è fermato per un’asfissia prolungata. A trovarla in bagno sono stati i genitori, a loro aveva detto che si stava facendo la doccia.
“Vai a vedere che fine a fatto tua sorella” ha chiesto la madre ( in attesa del quarto figlio) alla secondogenita.
È lei che l’ha trovata, i genitori sono corsi in strada disperati e ora hanno dato il consenso all’espianto degli organi.
Sempre su Tik Tok la piccola delle mie figlie con il laccio di un accappatoio si fa i capelli mossi, lo ha imparato da un tutorial, sempre su Tik Tok guarda ragazzine ancora bambine mostrare il corpo più o meno acerbo e guadagnare dalla mercificazione. Vede una madre che racconta se stessa e per ammansire il marito, visto che lo ha fatto arrabbiare ?, impegnarsi nella preparazione di una cena di scuse.
Le mie figlie imparano la sottomissione, la mercificazione, la violenza di e senza genere, nonostante il controllo, le parole che girano in casa, le riflessioni continue a cui le chiamo. Sono attratte e hanno tempo.
Davvero pensiamo che vietarle sia la soluzione?
Colpa della famiglia, del contesto sociale, della povertà? Di chi è la colpa? Chi ha la responsabilità di quell’attrazione? Un’attrazione così forte da chiamare alla morte ( un altro bambino di 11 anni a gennaio si è suicidato) i nostri figli?
Quello che so è che la scuola ( essendo un ‘insegnante scusate se la chiamo in causa) ha lasciato un grande vuoto. Un vuoto culturale, sociale, educativo e anche di controllo. Un vuoto di tempo.
Certo la scuola non può tutto ma può molto. Tenere dentro, tenere al sicuro, chiamare alle presenza, alla responsabilità, alle relazioni.
Invece, abbiamo dato in mano ai nostri figli uno strumento e un tempo di vuoto da colmare in autonomia, mentre i genitori lavorano o hanno altre preoccupazioni.
Se la scuola non è attrattiva, se quello spazio non è abbastanza accattivante, i ragazzi e le ragazze cercano altri luoghi in cui sentirsi dentro e parte. Perdevamo i ragazzi già prima della pandemia e con la didattica a distanza queste perdite sono sempre più grandi.
Davanti alla morte di una bambina di 10 anni si cercano le responsabili e la scelta più facile è darla ai social network, ma loro rispondono a una domanda che esiste.
Mi immagino una scuola che abbia un tempo lungo in cui tenere dentro i nostri figli, tutti, in cui ci sia lo spazio accattivante della lezione e quello affascinante dei luoghi: sport, attività teatrali, letture, interessi culturali di vario genere.
Mi immagino uno spazio reale in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze possono muoversi e agire sul “reale” e magari perché no, in un’ora di educazione all’affettività, affrontare temi come le paure, la seduzione, il genere, la violenza, la morte.
Allora, forse, starebbero qui, con noi, dentro alla vita.
Invece a noi restano i video della morte in diretta di una bambina di dieci anni che si chiamava Antonella e di certo non immaginava di morire. E di certo dovevamo proteggere.
Penny
Sono mortificata, amareggiata e senza parole. Ho anche io una ragazza (anche se piu’ grande) e posso immaginare la disgrazia. Sono vicina ai genitori e le porgo condoglianze di cuore.
Credo che sia un sentire comune. Amarezza e vicinanza, forse gli unici sentimenti possibili in storie terribili come queste. Penny ❤️