C’è una sola domanda che ogni tanto dovremmo farci, l’unica per cui vale davvero la pena. Sono ciò che voglio essere?

Se la risposta a questa domanda fosse la misura di tutte le cose probabilmente le nostre scelte andrebbero in una direzione precisa.

La verità è che prima di quella domanda ci preoccupiamo ed occupiamo di molto. Di tanto. Di troppo. Persino l’amore, a volte, non è una libera scelta, una costrizione sociale secondo i canoni definiti. Sarai sposa e madre.

Sono ciò che voglio essere o sono quello che gli altri si aspettano da me? La donna silente, accorta, sorridente, pronta a gestire e risolvere?

Il corpo deve essere disponibile e le orecchie tese all’ascolto del mondo. Sorreggi, tieni, controlla.

Essere ciò che desideriamo presuppone rotture, scatti in avanti. Presuppone pensare a cosa è meglio per noi, non per gli altri.

Nemmeno per i figli.

I figli sono il ricatto per cui ci fottono. Il primo, il più grande, ma non solo. Il lavoro è un altro grande ricatto, quella dipendenza economica che ci toglie il respiro, le relazioni di cura di cui tanto parliamo come fossero inserite nel nostro DNA, il corpo.

Essere ciò che vogliamo essere nel mondo (scusate il gioco di parole) è importante. Che ruolo vogliamo avere, quanto spazio vogliamo occupare. Perché anche lo spazio ha il suo rilievo. Non allargarsi, non disturbare, non sottrarre poltrone.

Di cosa abbiamo paura? Che cosa ci spaventa? Perché lasciamo che altri ci facciamo del male? Perché tendiamo alla rinuncia?

In nome di cosa? Compiacere? Piacere? Non avere sul collo il fiato del giudizio? Sei grassa, zitella, stupida, isterica. Nessuno ti ha voluto.

Di cosa abbiamo paura? Abbiamo paura di rimanere sole. Di fare le cose da sole. Di guidare la macchina, di acquistare un appartamento, di dover riparare un tubo, di sentirci così sole da morirne?

Abbiamo paura di sapere che la nostra vita dipende solo da noi.

Abbiamo paura perché tutte le parole, le immagini, i sussurri da quando eravamo piccole in avanti, ci definivano incapaci di reggerci sulle nostre gambe.

Da qualche parte c’era un uomo che ci avrebbe reso la vita migliore, sorretto, accudito, portato in palmo di mano, ci avrebbe spiegato le cose e detto quello che dovevamo fare.

Non ci hanno raccontato però che l’assenza della solitudine era una menzogna.

È ora. Adesso basta. È ora di prendere la nostra vita sulle spalle e assumercene la responsabilità semplicemente perché possiamo. Perché sappiamo farlo.

Ed è giunto il momento di farsi quella domanda se qualcuna di noi non se la fosse ancora fatta: Sono davvero ciò che voglio essere?

Occupate spazio, disturbate, muovetevi.

Non è la solitudine che vi deve spaventare ma che vi silenzino quella domanda.

Penny ❤️

Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. In uscita a giugno un libro di letteratura per l’infanzia.

http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

Rispondi