Ogni volta che ci adattiamo è come se ci silenziassimo e la sensazione che ne deriva è quella roba allo stomaco che ci fa sentire imponenti.
Faccio un passo indietro, perché, ragionare sulla storia passata mi aiuta ad affrontare quella presente con più consapevolezza. A capire chi sono e perché provo certe cose.
Essere una brava bambina vuol dire, in fondo, non essere esigente, poco chiassosa e non palesare dei bisogni, così, essere una brava donna.
Essere”brave” ha un prezzo altissimo.
Mi sono sentita spesso e mi sento spesso una donna “rabbiosa”, il che vuol dire che sono quel tipo di donna troppo emotiva, irrazionale, poco oggettiva, perché incline a farsi dominare dai sentimenti.
Per molto tempo mi sono tenuta il ronzio allo stomaco, ho represso la rabbia, perché non è quello che ci si aspettava da me e da una donna in genere.
“Quando sorridi sei bella!”.
Volevo essere quel tipo di donna, sorridente, accondiscendete, capace di raziocinio, invece, la passione mi ha sempre travolta e la rabbia pure, e Dio solo sa quanto abbia provato a tacitarla. L’ho minimizzata e gli ho dato il nome che la società e gli altri le hanno attribuito: impazienza, irritazione, isteria, nervosismo…
È così che ho imparato ad arginare me stessa e ciò che sentivo.
La rabbia, quell’insoddisfazione perenne, legata alle ingiustizie di cui ci rendiamo ben conto, in famiglia, al lavoro, nei contesti sociali; quella disuguaglianza o sottomissione di cui siamo ben consce, viene negata continuamente, provoca rughe e disgusto. Perché ad una bambina, ad una ragazza, ad una donna, si chiede di non dare problemi.
Diverso è per un uomo. La rabbia, è una delle poche emozioni, che i maschi fin da bambini possono espletare. Li scoraggiamo ad avere sentimenti femminili di empatia, vulnerabilità e compassione ( emozioni ad appannaggio solo del femminile); mostrare rabbia e aggressività sono pregi quando si tratta di difendere e proteggere quello che viene definito il sesso debole. Ovvero noi.
Così, noi, capiamo bene cosa comporta la nostra rabbia, quali reazioni negative può provocare nei confronti di chi ci sta intorno e allora che facciamo?
Marginalizziamo i nostri desideri e i nostri bisogni.
La rabbia non sparisce, lo sappiamo bene, semplicemente ci divora dall’interno. Perché la nostra abitudine è quella di dare priorità alle necessità degli altri: i figli, il compagno, il marito, il collega, la collega…
Rinunciare alla rabbia vuol dire rinunciare a chi siamo. Tacitarla, silenziarla, non riconoscerla, vuol dire adattarsi alla marginalizzazione.
Dubitare di noi stesse e non prendersi sul serio.
Quindi, quando capite che state subendo un’ingiustizia, quando capite che qualcosa non va, ascoltatevi, non sarete meno femminili se siete arrabbiate.
Sarete più consapevoli e giuste nei confronti di quello che provate. E credo anche molto molto più felici.
Penny ❤️
Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. In uscita a giugno un libro di letteratura per l’infanzia.
http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/
Ciao Penny, giusto riconoscere il sentimento della rabbia anche se talvolta ahimè mi danneggia fisicamente e vorrei poterlo gestire meglio.