Quando parliamo di scuola ci dimentichiamo che è inserita in un contesto sociale. La nostra società è basata sul successo ed è fortemente competitiva, insomma se fallisci è colpa tua, sei tu che non sei capace.

Non si può negare che le leadership del nostro Paese, in qualunque campo e settore, siano nella quasi totalità composte dai maschi. Quello è il modello proposto e se vogliamo arrivare ad avere successo, bisogna adeguarsi.

Le donne sono tagliate fuori e quando vengono infilate, qua e là, nei luoghi di potere, spesso sono funzionali al mantenimento del sistema patriarcale, non al cambiamento ( le cosiddette donne con le palle o ancelle, ed è storia recente che se assumono cariche ai vertici è l’uomo a deciderlo!)

Il modello di successo propinato è relativo alla forza, ad avere gli attributi, alla disciplina. Questo si riflette anche sulla scuola, una scuola che punisce, che sgrida, che spara i tre e i quattro, che crede così di fortificare gli animi.

Quante volte abbiamo sentito parlare i leader del nostro Paese di “merito” in riferimento alla scuola? Se non sei meritevole è solo responsabilità tua: bambino e bambina, ragazzo e ragazza.

Io rimango in cattedra, non mi muovo e se necessario uso la clava per redimerti, solo così potrai diventare un vero uomo.

Ed è esattamente in questo modo che si negano le marginalità, non si tiene conto di quelle silenziose e silenziate, delle discriminazioni, della disabilità, del contesto economico sociale in cui i nostri bambini e ragazzi crescono.

Ecco, per cambiare la scuola è necessario immaginare una società con un altro tipo di leadership rispetto a quella che pratichiamo e sponsorizziamo da anni.

La capacità mediatica, conciliative, organizzative, di cura del femminile sono capacità di leadership, al contrario di ciò che si possa credere.

Un tipo di insegnamento legato alla relazione (di cui prevalentemente si occupano le donne) potrebbe essere la contro-risposta a una scuola che non funziona e che lascia coni d’ombra ovunque.

La cultura patriarcale è dentro a programmi, al linguaggio, ai libri di testo in cui la letteratura è una storia unica maschile.

Questo approccio è fuori dal tempo, la nostra è una società multiforme, diversificata, anche i nostri figli e le nostre figlie lo sono, quindi andrebbero inclusi, non esclusi secondo un modello di merito che spesso, coincide con le possibilità economiche e sociali.

Dentro a questa crisi i nostri alunni e alunne non sono mai stati ascoltati, colpisce che nessuno dei “grandi” si sia rivolto a loro e li abbia tenuti in considerazione.

E se una parte della società, come l’infanzia e l’adolescenza, non viene ascoltata, come possiamo pensare che non trovi il modo di mettersi di traverso? Che non rifiuti un sistema che non li ha mai coinvolti come esseri pensanti? Un sistema che continua a valutare se stesso con delle prove così asettiche chiamate Invalsi?

Tappare gli occhi se i nostri alunni e le nostre alunne non rispondono, dare i quattro, dire: vi faccio a fettine e continuare ad avallare un metodo che vede vincenti solo modi maschilisti e di virilità, dove ci sta portando?

Perché di questo parliamo. Parliamo di una scuola che considera la debolezza, la diversità, le cadute, i ragionamenti intorno ai sentimenti, fuorvianti rispetto alla competizione, al ricatto, al castigo, alla punizione.

La fiducia non viene mai menzionata.

Se vogliamo avere degli effetti sul mondo che costruiranno i nostri ragazzi e le nostre ragazze, dobbiamo cambiare il modello di riferimento delle nostre leadership, non solo aprire all’uguaglianza, ma permettere che la visione femminile sia parte del sistema proposto.

Per non trovarci più insegnanti che pensino sia vincente un modello di scuola che bendi i suoi alunni e abusi del proprio potere.

Oppure, insegnanti che spieghino ad un bambino che la differenza di significato tra il nome “Papa” e “papà” sia che il primo si riferisce al capo della chiesa, il secondo al capo famiglia ( perché è successo anche questo nelle nostre scuole).

Per cambiare la scuola bisogna guardare più lontano, ad un modello “di cura” non come delega ma come strumento di successo e potere, in cui l’attenzione alla persona sia una priorità, in cui non sia la paura a muovere l’apprendimento ma la relazione di fiducia instaurata tra le varie componenti a stimolare.

A noi non servono donne con le palle, né una scuola “virile”, servono leadership capaci di fare della cura una possibilità e delle capacità femminili un’occasione di grande cambiamento sociale e culturale.

Penny

Ps: dentro alla scuola, ovviamente, ci sono buone pratiche e docenti stanche e volenterosi, sono quelli che la tengono a galla.

Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. In uscita a giugno un libro di letteratura per l’infanzia.

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/

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