Caro Presidente, garante della nostra Costituzione, volevo raccontarle una storia che inizia due anni fa o forse molto tempo prima.
Fino a quando vedrò i bambini e le bambine correre a perdifiato per entrare a scuola; fino a quando li sentirò chiedermi in corridoio “maestra come stai?”; fino a quando mi accoglieranno con abbracci e baci immaginati dietro alla mascherina; fino a quando vedrò due bambini stringersi dimenticando il confine tra abilità e disabilità; fino a quando sentirò dire da uno di loro: io sono femminista, io non sono razzista;
fino a quando resteranno ipnotizzati di fronte alla storia di un bambino dall’altra parte del mondo, incatenato ad un telaio e non avranno paura di fare domande e ancora domande, e si sconvolgeranno per ciò di cui sono capaci i grandi;
fino a quando lì vedrò mentre riescono a coinvolgersi e sentirsi ancora parte; fino a quando potranno raccontare la cattiveria imparando a gestirla e il proprio dolore imparando a superarlo;
ecco, fino a quando i bambini e le bambine saranno ancora punti di domanda e instilleranno in me dubbi e mi spingeranno a essere una persona migliore, io avrò la certezza che fare la maestra sarà ancora il mio mestiere.
La verità é che non ce li meritiamo. Non ci meritiamo i nostri bambini.
E loro non si meritano i muri scrostati; gli spazi risicati e chiusi; non meritano di fare meno ore di scuola se sono disabili perché non ci sono le insegnanti di sostegno-a quanto pare costano troppo signor Presidente-; non meritano le verifiche standardizzate quando ognuno ha il proprio percorso di apprendimento; non meritano di pagare per visitare i musei e i luoghi della cultura-che adesso sono silenti-; non meritano le mascherine scomode che devono indossare; le aule sporche perché non ci sono abbastanza ausiliari, non meritano insegnanti precari che saltano di qua e là, alcuni senza titoli per “educare”. Lo vuole ricordare lei Presidente che l’istruzione è relazione e ha a che fare con la materia umana?
A volte sono davvero sconfortata e mi chiedo come facciamo a sostenere che la scuola sia un diritto e non deve lasciare fuori nessuno, perché, invece, continua a lasciar cadere i suoi figli su terreni incolti e li abbandona lungo la strada.
I nostri bambini e le nostre bambini si meritavano che le promessa fatte, in questi due anni di pandemia, venissero mantenute. Le classi pollaio sono rimaste, i muri scrostati pure, la scuola è confinata dentro se stessa accartocciata su banchi monoposto, nessuna città ha spalancato le sue porte, ha condiviso i suoi tesori.
A volte io non so rispondere ai loro perché. Non so difendere il Ministero per cui lavoro, non so perdonarmi di aver creduto che la Scuola sarebbe stata una priorità.
Cambiano i governi e i ministri ed è anche se abbiamo qualche computer in più è peggio di prima; noi continuiamo a non meritarci i nostri bambini e le nostre bambine.
Quale occasione abbiamo perso? Ma la domanda che più fa male, che più mi tormenta sa qual è: quanti di loro ne abbiamo perso e ne perderemo ancora?
Una maestra.
Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. In uscita a giugno un libro di letteratura per l’infanzia.
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/
http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/