I figli sono gioia ma anche preoccupazione, inutile negarlo.

La loro felicità è sul podio delle nostre priorità. È per questo che, spesso, è molto difficile essere obiettive quando qualcuno li critica o ci presenta il conto delle loro malefatte. Insegnanti, educatori, allenatori, amici…

Bisogna avere una grande capacità di discernere e non pensare che ad ogni rimprovero corrisponda una nostra colpa.

Conosco lo sguardo delle madri- non parlo dei padri- perché come insegnante sono loro le mie maggiori interlocutrici.

Sono loro davanti alla scuola, loro che arrivano affannate a prendere i figli se stanno male, loro a cui, noi docenti, ci rivolgiamo se abbiamo bisogno di qualcosa. Loro ai colloqui.

Durante la mia carriera scolastica ci sono padri che non ho mai visto, altri li ho incontrati solo all’inizio della prima e alla fine della quinta, altri ancora solo alla consegna delle schede. Come se esistesse una scissione tra il percorso dei figli, demandano alle madri e il risultato della prestazione.

Non voglio dire che sia colpa dei padri- anche se al privilegio alcuni si sono adagiati con una certa facilità-, ma del sistema che abitiamo e in cui sono cresciuti e che ha costituito il suo welfare sul ricatto madri-cura, affidato totalmente alle donne.

Conosco gli sguardi preoccupati delle madri quando qualcosa non va. Alcune negano, altre fanno fatica a riconoscere il figlio di casa da quello che vediamo in classe, altre ancora agiscono immediatamente. Le più, entrano in ansia perché il sistema ci addossa la colpa.

È colpa nostra se non facciamo figli, colpa nostra se li facciamo e poi non sappiamo come occuparcene, colpa nostra se non li educhiamo a dovere, dentro a un trip che non lascia scampo.

Prima di diventare madre ero piena di preconcetti e nei confronti delle madri dei miei alunni usavo, a volte, parole di giudizio: come è possibile che non si rendano conto? D’altronde è separata…ma perché non lo sgrida!…

Con il tempo ho imparato a mettermi in discussione e a capire che se le mie figlie non si comportavano bene o c’era qualcosa che non andava, non sempre era colpa mia, a guardare le madri dei miei alunni e alunne con più clemenza.

Ho imparato a scindermi, a pensare che, spesso, i figli passano fasi altalenanti di cadute e riprese e che se volevo educarle all’esistenza non dovevo precipitare e risalite anch’io tutte le volte con loro come fossimo una cosa sola.

Mi sono costruita un’asse immaginaria da cui sapevo di non poter scendere, o meglio, poteva scivolarmi un piede, ma poi dovevo risalire subito anche se loro precipitavano.

Dovevo lasciare che accadesse il fallimento, l’errore, la caduta, senza schiantarmi al suolo con loro.

So che se in quel periodo avessi avuto sguardi di comprensione e non di giudizio probabilmente avrei fatto meno errori, per questo, come insegnante, per me è importante trovare parole giuste e non esprimere giudizi definitivi.

Così come è altrettanto importante che qualcuno ci riconosca un valore, visto che il lavoro educativo con lo stress che comporta, solitamente, è sulle nostre spalle.

A volte, scrivo alle “mie” mamme, quando mi accorgo che le cose vanno bene, che i loro figli hanno fatto qualcosa di buono, lo faccio per loro, perché, sappiano che sono viste e per me, per ricordarmi che lo sguardo da tenere nei confronti dei bambini e delle bambine deve essere ampio.

Sarebbe più facile mantenere le distanze, perché i rapporti con i genitori presuppongono una disponibilità alla vicinanza e alla fiducia e anche un mettersi in gioco che può portare alla critica.

È che siamo sole, lo penso spesso, e il mondo patriarcale ci giudica se non vogliamo figli, se ne facciamo troppi, se non partoriamo con dolore, se non allattiamo, se allattiamo in pubblico, se siamo troppo morbide, se siamo troppo rigide, se facciamo fare i compiti, se non li facciamo fare…

Ci giudica sempre e, nel frattempo, anche se c’è maggior condivisione di cura nelle giovani famiglie, la cura, dal punto di vista sociale, è delegata quasi totalmente alla donne.

È che siamo sole. E io lo so perché lo vivo e lo vedo ogni santo giorno.

Quindi, non vi frantumate se le parole sono di giudizio, prendete il buono, ciò che serve ai vostri figli per diventare migliori, per il resto, buttate il senso di colpa, che non serve a niente, e ricordatevi: i bambini hanno bisogno di cadere e voi non siete madri pessime.

Per lo più siete sole.

Penny ❤️

Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. Il 22 giugno esce per Mondadori: “La scuola è di tutti”.

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/

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