Tempo di test all’università, tempo di esami di riparazioni. Di passaggi e fallimenti.

Ed è proprio pensando ai fallimenti che sento la necessità di parlarne ancora e ancora con le mie figlie, perché, sappiano continuare a guardare lontano.

Perché sappiano che i progetti migliori o quelli più importanti, spesso, nascono dai fallimenti. Almeno per me è stato così.

C’è qualcosa di più grande oltre l’esame e, bisognerebbe ricordare ai figli che, non saranno né il superamento né il fallimento, a decretare chi sono.

Invece, a volte, anche noi grandi li confondiamo come se quel risultato fosse l’ offerta al mondo. Sono bravi loro, siamo bravi noi.

A volte non basta la determinazione per superare una selezione, a volte, neppure il talento. Esiste la fortuna o sfortuna delle domande, esiste lo stato d’animo, esiste il non “controllabile” e l’imprevedibile.

In ogni caso trovo pericoloso che i ragazzi pensino di essere i loro successi o le loro sconfitte, perché, è come fargli pensare che possono tutto o non possano niente, in un egocentrismo dannoso.

Ma, appunto, non è così. E noi siamo altro.

Siamo quella strada dentro alle sconfitte e agli insuccessi, siamo le relazioni che instauriamo con il mondo, le risposte che riusciamo a dare alle esperienze che ci accadono, siamo tante cose in momenti diversi.

Siamo le reazioni agli accadimenti.

Così, se avete dei figli o figli di altri tra le mani, vi invito a riflettere, soprattutto, in questi giorni di prove ma, in genere, durante l’esperienza della genitorialità o dell’educazione.

Siamo noi adulti che incentiviamo le insoddisfazioni dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, l’incapacità a reagire agli eventi della vita.

Il che non vuol dire dissuaderli dall’ autodeterminarsi, anzi, tutt’altro, vuol dire avere uno sguardo più a lunga percorrenza, non in riferimento alle richieste sociali di prestazione, ma in riferimento alla ricerca di senso.

Difficile, perché, anche noi tendiamo a perdere di vista quel senso, in una rincorsa al consenso e all’accettazione.

Eppure, accompagnarli dentro al fallimento e ai successi è un nostro compito ed è appunto quel “dentro” di cui dobbiamo aver cura, della capacità di superamento e non di avvitamento sulla richiesta di prestazione.

Aver cura di loro e delle risposte all’esistenza, non degli esami che falliscono o superano.

Penny❤️

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