La ricerca della giustizia per la morte di una figlia non dovrebbe essere una lotta, soprattutto, personale, ma collettiva. E credo che un po’ sia stato così.

Mia figlia ha l’età di Martina quando ha cercato di sfuggire allo stupro finendo uccisa. E io ho sempre paura per lei. Ho paura quando esce la sera, quando parte per un viaggio. Ho paura che anche a lei possa succedere quello che è successo a Martina e a molte altre di noi. Ho paura, persino che se succedesse qualcosa non venga creduta.

La metto in guardia: non dare troppo nell’occhio, torna a casa con qualcuno, non indossare abiti troppo attillati o troppo corti, non passare per strade troppo buie, vai nelle toilette sempre con un’amica, se ti lanciano epiteti volgari, tu passa dritta.

Le insegno a non difendersi e a modificare i suoi comportamenti come se il suo corpo e la sua anima fossero una colpa. Non ne posso fare a meno e mi detesto, perché il compito di un genitore è aprire alla fiducia verso al mondo, invece, insinuo paura e nel momento esatto in cui pronuncio alcune frasi le insegno che la libertà è un privilegio dei maschi, non suo.

Le insegno che sono i suoi comportamenti a provocare e non i comportamenti di dominio dell’uomo sulla donna e del suo considerarla oggetto ad essere sbagliati e a dover cambiare.

E lei ha imparato. Eccome se lo ha fatto. Quando esce si preoccupa di non avere la gonna troppo corta, che il seno non sia troppo in evidenza, di essere abbastanza magra da essere accettata e invisibile. E io mi detesto.

Ora non si può più nemmeno fischiare…, se si vestono così poi cosa pretendono?…In fondo lei ci stava, non era stupro: lo dimostra il suo perizoma e l’atteggiamento che ha avuto…

Nè da vive né da morte ci credono, anche quando il corpo come quello di Martina, con insistenza, parla.

Io li ho sentiti vicini i genitori di Martina, da subito, la loro figlia è diventata la mia, come ho sentito vicine le loro parole e i loro sguardi.

Mi chiedo cosa avrei fatto io se fossi stata in loro. Cosa? Avrei avuto la loro tenacia? Deve essere stato difficile accettare che la morte in conseguenza di un altro reato sia andata in prescrizione, accettare che siano stati dati ai due “stupratori” ( possiamo chiamarli così?) solo tre anni di cui nemmeno un giorno sarà in carcere.

Per lo meno, di fronte al mondo, la verità ora è chiara: nessun suicidio, Martina era felice, una ragazza di vent’anni che amava la vita.

Si sono “ accontentati” di questo i genitori di Martina, che in questa storia hanno quasi perso la loro identità, ma noi, sì dico noi, che abbiamo le figlie ancora vive ( scusate la crudeltà) possiamo accontentarci? Possiamo pensare che giustizia sia stata fatta?

Rimane la paura per ciò che può succede prima e dopo, per questa giustizia tiepida e di cui ci dobbiamo e hanno dovuto persino “gioire”, pensando che poteva finire peggio.

Rimane la gratitudine per Bruno, 80 anni, ex scaricatore di porto e sindacalista al porto di Genova, e Franca, insegnante in pensione, genitori di Martina.

Rimane il loro insegnamento, quella delicata tenacia con cui sono andati avanti per una figlia che poteva essere la nostra.

Non dimentichiamolo mai. Non dimentichiamo Martina e continuiamo la lotta di Bruno e Franca chiedendo un cambiamento nelle leggi che non avverrà se non cambiamo la cultura misogina del nostro paese.

Io sono grata a queste sue persone, alla loro forza, alle parole di Bruno che era per tutte le figlie del mondo: che non succeda più.

Una madre.

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