Chi di voi segue la pagina Facebook sa che questo week end sono fuggita in montagna sedando i sensi di colpa per aver mollato le mie due figlie e sa che ho preparato per loro una torta di zucca ( sempre per via dei s.d.c) prima di partire.

Quando vado in montagna c’è un mercato con prodotti locali del luogo e banchi vari in cui amo andare.

Mentre sceglievo la frutta e la verdura mi accorgevo che non pensavo a me, a quello che poteva piacermi, ma alle due, e così è stato per tre maglioncini che mi sono accaparrata in un banco di quelli in cui rischi la vita se per sbaglio afferri ciò che aveva già afferrato qualche altra persona!

Penso che la mia ( come la vostra) sia proprio una deformazione professionale, sì, insomma, pensare ai figli mentre non siamo con loro, pensare di farli felici. E se da una parte credo sia naturale e giusto, dall’altra penso che una relazione d’amore debba contemplare la richiesta della reciprocità.

Insegnare la cura, vuol dire anche pretenderla per sé dai propri pargoli, altrimenti insegniamo la dedizione e sinceramente, visto che ho due figlie femmine, è l’ultima cosa che voglio.

Mentre mettevo sacchi e sacchetti in macchina mi chiedevo se i padri pensano ai figli nello stesso modo quando non sono con loro. Se si preoccupano e occupano come facciamo noi o demandando la cura. Forse, noi anticipiamo qualsiasi mossa o forse il piano di pensiero su cui si muovono è un altro. Che ne sanno loro, ad esempio, dei sensi di colpa?

A volte mi costringo a pensare come un padre per salvarmi dalla mia follia materna, qualcuno  mi dirà che gli uomini si perdono molto della crescita dei figli, ed è vero, ma il prezzo che paghiamo noi in termini di esistenza penso sia troppo alto. Ci consumiamo.

A livello sociale ed economico non c’è nessun sostegno, se mancano gli asili nido e una legge adeguata sulla paternità, è pur scontato che saranno le donne ad occuparsi dei figli e questo fa comodo a tutti, tranne che a noi.

Noi ci incastriamo dentro ad un’abitudine e ad una normalizzazione dell’eccesso di cura perché se non lo facciamo la società- che ci ha lasciato sole-ci dice persino che non siamo buone madri, che abbiamo fallito il nostro compito educativo e ne sentiamo tutto il peso.

Ecco, è proprio questo che faticosamente cerco di scrollarmi di dosso, quella zavorra di responsabilità individuale che ogni giorno porta a salvare tutto il mio mondo, compreso il padre, tranne me stessa.

Se gli uomini vivono senza questo tipo di senso di colpa nei confronti dei figli, voglio e devo riuscirci anch’io, perché nessuno mi dirà che sono una madre migliore o sono stata una buona madre se non il tempo. Ci sarà sempre quella cosa che avrei potuto fare meglio e con più attenzione e qualcuno o qualcuna ( sottomessa al sistema) che me lo ricorda.

Tornando a noi, ieri sera quando sono rientrata carica come un mulo di frutta, verdura, patate, carne e maglioncini, visto che una delle due stava già prendendo la fuga, ho ordinato: “Ferme qui! aiutateti a mettere a posto!”.

“Ma perché cavolo hai comprato tutta ‘sta roba?” mi ha chiesto Felicity, la mia piccola. A quel punto avrei dovuto ricordarle che si lamenta sempre del frigo vuoto oppure tirarle un calcio negli stinchi ?, ma ho inspirato e basta.

Siamo riuscite a cenare insieme, la mia amica dell’ultimo piano ci ha portato un pezzo di torta di zucca e mentre la grande la mangiava io la guardavo. “Non ti dirò che la tua era più buona!” mi ha detto la “stronza”, che non mi dà una soddisfazione nemmeno a morire?.

Uno, due e tre e alla frutta sono sparite. Felicity nei giardini sotto casa con degli amici, l’altra-la stronza ( non schioccatevi perché, a volte, glielo dico pure?) a chiacchierare con la figlia della mia amica nella “tana”, ovvero il magazzino del mio compagno.

Insomma, è meraviglioso tornare a casa e stare insieme e condividere il tempo che abbiamo vissuto lontane una dall’altra.

Così bello che a volte è un sogno, tutto e solo mio. Che la maternità, quella vera, non quella tramandata da padre in figlio, è soprattutto l’indicibile e voi sapete di certo di cosa parlo.

Io, ieri sera, di pensieri indicibili ne ho fatti parecchi?‍♀️.

Penny❤️

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https://www.giunti.it › catalogo › il-…Il matrimonio di mia sorella – Cinzia Pennati – Giunti

 

 

 

 

2 comments on “Quell’eccesso di cura che ci fotte e manco si può dire.”

  1. …quanto mi ritrovo in quello che hai scritto…intanto che cerchi di evitare meteoriti lavorativi e impegni familiari degni di un lavoro da assistente sociale, insegnante, fattorino e autista, quindi un totale di almeno 6 o 7 lavori impegnativi…scegli una candela profumata che può piacere a tua figlia…

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