Ogni giorno quando vado a scuola mi chiedo se sia successo qualcosa. Se qualche bambino sia entrato in quarantena o qualche mia collega si sia presa il covid, se chiudano una classe, due o magari la mia.

Ogni giorno faccio il conto alla rovescia. Dai che ce la facciamo ad arrivare a Natale.

Ogni giorno, quando dico ai miei bambini e alle mie bambine: “Tiratevi su la mascherina, cambiatevi la mascherina, disinfettatevi le mani, apriamo le finestre”, loro non si lamentano. Lo fanno e basta.

Anche quest’anno ci siamo ridetti che se tutti rispettiamo le regole abbiamo più probabilità di continuare a venire a scuola e di stare insieme.

Certo, sono bambini e bambine e bisogna ricordargli spesso le regole comuni, ma quando succede non gridano al complotto, non recriminano, sanno per cosa stiamo lottando.

A volte si comportano meglio di noi adulti, sanno che questa è una battaglia comune, come quando impariamo i verbi, vinciamo se li sappiamo tutti, è una vittoria di squadra la nostra.

Si rinuncia ad un po’ di individualismo per un bene sociale: la scuola.

Non basta tenere la scuola aperta, l’ho scritto in uno degli ultimi post, ma la scuola è il primo luogo dove i bambini/e imparano le regole del vivere insieme, dove si giocano il rapporto con altri adulti e con i pari, dove si innamorano del sapere o almeno dovrebbero farlo.

La scuola permette alle famiglie (soprattutto alle donne) di non perdere il loro lavoro, strappa i bambini/e disagiati economicamente per qualche ora, alla povertà, altrimenti starebbero soli in case anguste…nella speranza del lungo percorso di aiutarli a cambiare il loro passo. Aiuta le famiglie dei bimbi disabili (soprattutto le madri), che spesso sono più sole dei soli, abbandonate dal sistema, a respirare.

La scuola permette che il Natale non sia troppo difficile ai bambini e alle bambine che non riceveranno niente sotto l’albero e che l’albero nemmeno lo hanno.

Per questo nessun tema: cosa hai chiesto nella letterina a Babbo Natale? Come festeggerai il Natale? ma la lettura di libri e di un poema di Jeorge Lugjan che finisce più o meno così: “per conoscermi davvero ti aspetta un lungo viaggio, per capire la differenza tra ciò che sembro e ciò che sono”.

La scuola permette la vita che procede e lo permette a tutti.

Ogni giorno in più in cui riesco a varcare il portone sono felice. C’è chi mi corre incontro e mi abbraccia stretta stretta; chi mi dice: “Il 23 ci vediamo un film di Natale?”. “Perché no, film e pop corn”; c’è chi mi regala un segnalibro con il suo-e ormai il mio- animale preferito che è il bradipo; chi mi dice:“Domani facciamo scrittura?” e quanto annuiscono, voi non ci crederete ma loro gridano: “Sìììì!” Chi mi dice: “Oggi sono depresso!?” e vuole che gli chieda il perché, chi mi racconta la sua sventura in bicicletta, chi porta un libro da leggere a tutti, chi non mi saluta perché fa quello che è superiore ma poi mi si appiccica durante la ricreazione, inizia a parlare e non la finisce più.


Ogni giorno in cui esco da quel portone mi ricordo che la vita pulsa, nonostante l’adultocentrismo e il governo che abbandona la scuola, e sono i bambini e le bambine a ricordarmelo.

A ricordarmi quello che la pandemia ci ha portato via per due anni, che continuare ad esserci, ed esserci insieme è il senso di tutto.

Penny ❤️

Se volete leggere una storia di scuole come la mia e bambini/e straordinari ecco il link ⬇️

https://www.ragazzimondadori.it/libri/la-scuola-e-di-tutti-le-avventure-di-una-classe-straordinariamente-normale-cinzia-pennati/

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-

https://www.giunti.it › catalogo › il-…Il matrimonio di mia sorella – Giunti

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