Gli amici e le amiche delle mie figlie si stanno contagiando, uno dietro all’altro.

Riapriremo la scuola? È quello che ho pensato ieri salutando i miei bambini. Ho paura di un’altra Dad, di un altro buco nero in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze possano scomparire del tutto.

Un buco nero in cui non sapremo più ritrovare nessuno.

Cammino sospesa, sperando di arrivare indenne, non so nemmeno io dove. A Natale?

Quale Natale? Non so chi devo proteggere per primo: mia madre, le mie figlie, l’uomo che amo, i miei nipoti…chi?

Non so questa sera potrò stare con il mio compagno e i nostri figli, come tutti gli anni, ritagliarci uno spazio tra le nostre famiglie.

Non so più niente. Non so quello che ci aspetterà domani. Procedo di ora in ora, di tampone e tampone, che trovarli è diventata una caccia al tesoro.

Osservo le persone affannarsi, le file nei negozi, i pacchetti tra le mani, ognuno troverà il suo modo di stare dentro all’ incertezza.

Io sto cercando il mio.

Mi sento così stanca e mi chiedo se gli altri si sentono come me, con il tempo ovattato che sembra pesare doppio.

Procedo passo dopo passo e mi sembra che non ci sia nulla di importante se non stare bene con le persone che amiamo.

E il tempo passato insieme è l’unico di cui in fondo mi importa.

Tornerà l’estate, mi dico. E ce la faremo ancora. Rialzeremo la testa e andremo avanti. Passerà, dobbiamo solo resistere.

E aspettando il Natale mi sembrano preziose le tavole imbandite anche se i posti non sono quelli che avremmo voluto, anche se la zia di turno ci infastidirà e ci farà le solite domande impertinenti e forse, questa volta, potremmo permetterci di mandarla a quel paese. Anche se quel piatto non ci è venuto come al solito.

Anche se vedremo la felicità degli altri e ci spaventerà perché non sappiamo trovare la nostra.

E quei regali che ostinatamente mettiamo sotto l’albero per le persone a cui vogliamo bene, per cui corriamo avanti e indietro, quei pensieri pensati, quelle storie che raccontiamo ai bambini sulla magia del Natale, quei biscotti offerti alle renne, ora mi sembrano preziosi.

Più preziosi delle restrizioni e della paura. Più preziosi della perdita di speranza.

Perché non c’è nulla di più spaventoso di un Natale senza fiducia nella costruzione di un tempo migliore.

Non c’è nulla di più spaventoso che farsi inghiottire dall’incertezza e smettere di credere nel potere magico dell’esistenza, dell’umanità, alla nostra capacità di andare avanti nonostante.

Perché non conta quello che siamo stati, ma quello che possiamo diventare.

Buon Natale a tutte e a tutti, con ostinazione.

Penny ❤️

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1 comment on “Non conta quello che siamo stati, ma quello che possiamo diventare.”

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