Non si può pensare che la libertà delle donne sia solo una questione di volontà.
Non è vero che se vogliamo possiamo tutto, altrimenti avalliamo quell’idea tanto cara al sistema di donna multitasking che ci sottomette. A volte possiamo solo infilare e spingere la nostra libertà nello spazio sociale, economico e politico che ci è concesso.
Ad esempio, pensiamo a quanto può essere utile per una donna lo smart working, quanto, portare il lavoro in casa, ci permetta di conciliare; pensate alla DaD…ma pensate a quanto le donne prima di noi hanno lottato per esserci in modo degno e ugualitario nei luoghi di lavoro ( a partire dagli stipendi) e quanto questo ci toglierebbe in termini di opportunità e diritti. Non sarebbe meglio lottare per la richiesta di servizi? Ad esempio asili nido aziendali, asili dell’infanzia?
Stiamo attente, appunto.
La nostra libertà emotiva dipende proprio da quella economica e produttiva determinata dalle scelte dei governi e dalle leggi che mettono in campo.
E ribadisco il nostro sistema è progettato al maschile, basti pensare alla necessità di avere le quote rose o al fatto che non abbiamo mai avuto una Presidente del Consiglio e una Presidente della Repubblica, alla scelta non approvata di aumentare il congedo di paternità di un mese.
In Italia, dati alla mano, meno di una donna su due lavora.
Molte donne sono costrette al lavoro part-time involontario.
Otto su dieci fa richiesta di congedi parentali, ( un 79%) contro un ben più modesto 21% dei padri. Dove sta qui la libertà?
Inoltre il tasso di occupazione delle donne con figli sotto ai 5 anni risulta essere più basso di oltre il 25% di quello delle altre donne coetanee senza figli.
«Le lavoratrici continuano a essere penalizzate da una minore domanda di lavoro permanente: stiamo insomma assistendo a una conferma se non a un peggioramento della già scarsa qualità del lavoro femminile che sconta il ricorso massiccio al part-time e al lavoro intermittente». In definitiva, ha sottolineato la sottosegretaria Guerra «la già poca occupazione è di scarsa qualità, spesso frammentata e povera».
La cultura di cui siamo intrise ci fa credere di essere libere di poter scegliere ma quando il sistema non è equo, quando le posizioni di partenza non sono le stesse, come lo crediamo possibile?
Non è una lotta di donne “femministe” ( che poi dovremmo esserlo tutti e tutte) contro il mondo maschile ma una lotta contro una cultura maschilista, quindi vi prego di non mettermi in bocca cose che non dico e non penso come ad esempio che tutti gli uomini sono cattivi. Però, è certo che molti uomini della mia generazione, non si rendono conto di essere partiti da una posizione di privilegio.
La cura non sempre è una scelta, a volte, è una necessità; se mancano i servizi e se il lavoro femminile è precario e meno retribuito, chi salta per primo all’interno delle famiglie? Non ditemi che una donna può scegliere, perché il sacrificio primo è quasi sempre il suo anche nelle famiglie dove i padri cambiano i pannolini ai figli.
Non possiamo parlare di libertà, non possiamo farlo fino a quando i diritti e i doveri tra uomini e donne non saranno gli stessi; e non possiamo fare del nostro caso personale una generalizzazione.
C’è sempre una base di partenza di disuguaglianza, poi ci sono le eccezioni, ma sono ancora eccezioni e non la normalità.
Penny
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