Noi siamo la società delle azioni, del fare, dell’impilare vittorie e premi. Siamo quelli dell’inglese a tre anni, dei voti, del liceo a tutti costi, dei master, dei cabaret delle esperienze.

Siamo la società della mostra mercato: fai vedere chi sei, se ti impegni ce la farai, basta che credi in te e puoi raggiungere ogni traguardo; tutto giusto, forse. Frasi ad effetto, motivazionali, verso un futuro roseo e pieno di possibilità.

Se non che, dopo le azioni, i master, i cabaret delle esperienze, il futuro per i nostri figli è buio.

E se non riescono, se c’è un intoppo, se fanno fatica, se la volontà non basta, è colpa loro o tua.

Abbiamo fatto credere ai nostri ragazzi che bastasse impegnarsi, che la vita fosse una rincorsa ad ostacoli e che all’arrivo avrebbero ricevuto in premio: un lavoro con una garanzia di felicità.

Non è vero che basta l’impegno, possono entrare in campo mille variabili, c’è la storia di chi siamo e di chi incontriamo, la relazione che si instaura, il tempo presente.

Molte famiglie si sono indebitate per “elevare” i figli, per aiutarli ad inseguire sogni che non erano nemmeno troppo chiari, per dare e fornire tutte le occasioni possibili.

Il risultato è stato quello di ritrovarci una società di giovani profondamente confusa e demotivata, relegata ai margini delle scelte di vecchi “poltronai”; dei ragazzi/e che, a un certo punto, si sono voltati indietro e non sapevano più chi erano e cosa volevano.

Come possono salvarsi da una società narcisa che idealizza e divinizza le capacità individuali come la sola scelta alla realizzazione di sé?

L’unico modo che hanno i nostri figli, oggi, per attuare una ribellione, è attraverso il malessere.

A volte devono stare molto male per farci fermare e il loro malessere, purtroppo, è sempre un fatto privato mai sociale.

Ogni famiglia ha sulle spalle il dolore del proprio figlio e la sua risoluzione. Ovviamente, più economicamente si è stabili e più i ragazzi possono essere aiutati ma non è detto che la si imbrocchi giusta. E gli altri?

Avremmo dovuto insegnare ai nostri figli ad indugiare, ad attendere, a scegliere, a rinunciare senza la paura di rimanere indietro.

Avremmo dovuto insegnargli che è un’illusione credere che più si è attivi più si è liberi.

La libertà che risponde solo a realizzazioni individuali e narcisistiche, senza un pensiero collettivo di senso, non porta mai benessere.

Il rischio, attraverso questo individualismo spiccato, è quello che i ragazzi/e, per abitudine, necessitino di alzare la posta in gioco, senza mai sentirsi soddisfatti.

L’occuparsi degli altri, vedere l’altro da me, il mondo e le relazioni che intercorrono tra le persone, aiuta il senso, i progetti, la prospettiva del Noi che fa stare bene.

Alimenta uno scopo che non ha nulla a che fare con il profitto o il denaro ma sviluppa le idee, amplia gli orizzonti, costruisce il proprio senso nel passaggio qui.

I nostri ragazzi, spesso, prima o poi si arenano perché il desiderio di soddisfazione individuale è ingordo e mai sazio; e prima o poi chiede il conto.

Mi chiedo spesso, come madre, dove posso intervenire, perché l’incertezza sul loro futuro mi piomba addosso e mi tramortisce, e la paura dentro alla genitorialità, non facilita.

Così, lo sforzo è quello di non scegliere al loro posto, di non accelerare soluzioni e azioni, di mettermi alla finestra e dargli la possibilità di indugiare e di ritornare sulle scelte. Di stare in silenzio. Di reggermi la paura.

Non mi indebiterò per i loro studi, non ho nessuna intenzione di farlo, per me e per loro; i limiti verranno imposti dalle nostre possibilità economiche, se vorranno altre occasioni dovranno darsi da fare.

Forse, è questo che manca ai nostri figli, vivere la realtà della “fatica” dentro alla quotidianità, non distopica. Ho quello che posso permettermi, non tutto quello che possono permettersi mamma e papà.  

Li abbiamo cresciuto con l’idea del posso tutto e quando non riescono è il minimo che si spaventino e che ci spaventiamo noi.

Sosterrò le mie figlie, questo è certo, ma resisterò alla paura.

Forse, come genitori, dovremmo fermarci e ragionare sul fatto che l’errore più grande per tutti noi sia quello di attaccarsi ad ogni cosa, ogni persona, ogni esperienza. Quel concetto della proprietà privata che ci fa credere di non avere mai abbastanza, di dover esercitare sempre un diritto.

Tutto cambia, muta e cresce.

Sono fiduciosa che succederà anche ale mie figlie e in qualche modo se la caveranno.

Ecco, sarà questo è il mio contributo più grande come madre: avere fiducia che avranno le risorse per farcela da sole nella speranza che la loro esistenza sia piena di senso più che di profitti.

Penny ♥️

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