Sarebbe bello fuggire in un posto dove non c’è bisogno di me. Dimenticarmi che sono madre e che ho delle responsabilità. Nemmeno quando sono libera lo sono davvero.
Devo decostruire gli stereotipi, scavare a mani nude dentro al mio corpo, pulirlo dalle paure, dalle punizioni, dalle colpe, estirpare stomaco e poi polmoni per arrivare al cuore. Là ci sono io.
Pulire: brava donna responsabile, premurosa, su cui si può contare. Insieme a quella brava donna mentre proviamo a distrarci, il risentimento cresce, cresce la rabbia, quel mormorio che si fa tacere facendo cose: rassettare, controllare, non fermarsi. Se mi guardo indietro capisco mia madre; tutti i sabati mattina si metteva a lustrare la casa da cima a fondo, era tesa e arrabbiata con noi, con mio padre, con il mondo e io non capivo, quella casa era uno specchio, ora so. Quella donna potevo essere io, mia madre cercava di cancellare le sue arrabbiature verso il mondo che l’aveva negata come donna. Era troppa la cura.
Dove ho sbagliato? Si chiede ognuna di noi quando le cose non vanno, quando i figli non rispondono a quello che ci eravamo immaginate, quando qualcuno di loro sbarella, perché succede, cazzo, se succede. I figli perdono i pezzi, la testa, a volte, la strada; si confondono. Ti dicono che è colpa tua.
Invece, l’unica cosa che vorremmo sentirci dire è che niente di quello che succede è colpa nostra. Ma la voce sotterranea del mondo ci parla di fallimenti. Hai fallito. Se falliscono i figli, falliscono le madri. Eccolo uno dei tentativi riusciti di sottomissione.
E, allora, non ci resta che andare avanti e dissotterrare il risentimento e trasformarlo in azioni di salvezza.
Gli sbagli non sono mai definitivi, si fallisce un’impresa, un progetto, fallisce un rapporto. Noi non siamo un fallimento neanche se i nostri figli sbagliano. Per lo meno, di quello sbaglio, non siamo state di certo le uniche responsabili, anche se per il mondo è facile farcelo credere.
I figli hanno bisogno di abbandoni per crescere e noi di “abbandonarli” per volergli bene in modo buono. Quell’abbandono prevede l’accoglienza degli sbagli, l’accettazione dei fallimenti che sono plurali e parte dell’esistenza, prevede la capacità di scissione: io abito il mio cuore e tu il tuo.
Io non so se sono buona madre, sapete, ho imparato a non domandarmelo più, piuttosto cerco di essere una persona desiderante, in quel cuore, il mio, quello che abito, faccio spazio anche per i miei di errori che non sono mai definitivi tanto quanto quelli delle mie figlie.
Gli sbagli, appunto, non sono mai definitivi, l’amore sì, quello per un figlio lo è. Potremmo non riconoscerlo più, eppure il bene -anche se dolorante- non smetterebbe di pulsare.
Non è questo il bene di una madre? Sputate fuoco a chi ci mette il dubbio e ha solo bisogno che voi restiate lì dentro a quella domanda.
Penny ♥️
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