Non ne posso più di sentir dire che l’amore ha bisogno di impegno.

Che se una donna lascia un uomo è perché è una persona da relazioni liquide.

Non ne posso più di mariti, ex mariti, partner che si stupiscono di fronte a una donna che gli dice: “Non sono felice con te”.

E quella donna tanto amata, improvvisamente, diventa incomprensibile e nemica.

Dove siete stati durante quel periodo in cui le cose non funzionavano? E se funzionavano solo per voi (eravamo una famiglia felice, sento dire da uomini abbandonati) non funzionavano comunque, che sia chiaro, anche se vi raccontate il contrario.

Non ne posso più di dover convincere che le donne, quando se ne vanno, sono, per lo più, persone serie, che si sono fatte delle domande e ci hanno messo così tanto a legittimare i propri sentimenti prima di riuscire a dirsi: sono infelice.

Non ne posso più di sentir tacciare le donne di egoismo perché lasciano un uomo. E torna la storia assurda dell’impegno e quella frase: le famiglie stanno andando in rovina.

Volevo dirvi questa cosa, ci tengo proprio. La questione è semplice: non è che prima le famiglie funzionassero, prima molte donne non lavoravano, non erano autonome, difficilmente riuscivano ad emanciparsi.

Una questione economica di potere, semplice appunto. Stavano zitte. Liti tra le mura di casa. Infelici, non tutte, ma molte. Rassegnate al “per sempre”.

Ora, anche se la femminilizzazione della povertà perdura, grazie alle lotte e ad alcuni diritti acquisiti con fatica, semplicemente le donne (quelle mogli di che vi preparavano il pranzo, che accudivano i bambini, che erano confinate nello spazio della famiglia), sono più “forti”, più consapevoli che possono farcela anche senza di voi.

Una vita in un matrimonio infelice è una follia.

Meglio la fatica, le accuse, la colpa, piuttosto che una relazione stantia, ferma, di non rispetto.

L’amore finisce e mi dispiace che voi pensiate di potere tutto, anche costringere una donna ( attraverso l’impegno ) a stare con voi.

Alcuni uomini le uccidono pure quelle donne, lanciano l’acido sui loro volti, le seguono, le spaventano, le stuprano.

E questi accadimenti terribili, mi dispiace dirvelo, sono l’esasperazione dei vostri pensieri: una donna che lascia un uomo è da rendere povera, da ricattare a livello economico con lo strumento più potente che gli uomini hanno in mano: i figli.

E allora, dio santo, iniziate a cambiare i pensieri e il vostro linguaggio che fomenta una cultura dell’astio e nelle forme più gravi di odio nei confronti delle donne.

Lo so che vi sentirete offesi, lo so già. E non si può generalizzare, ma sono le donne quelle più povere, quelle che vengono uccise. Ed è sempre nei confronti delle donne che, ultimamente, le proposte di legge provano a ledere alcuni diritti acquisiti.

Voi, uomini abbandonati, iniziate un po’ a dirvi: ma quando lei stava male io dov’ero? Me ne sono accorto? E le liti? I conflitti o i silenzi del prima hanno un peso specifico o no? Li avete visti?

Molti mi scrivono: l’ho data per scontata. Ma non è che tutto ruoti intorno a voi!

E, comunque, non è solo questo che spinge una donna a cercare una strada per la propria emancipazione.

Non è il sentirsi una regina o gratificata dai commenti del proprio partner, non solo, per lo meno, è proprio capire che i compromessi accettati in nome di quella famiglia non sono sufficienti per essere felice.

È il bisogno di cercare una propria strada, una legittimazione al di là dell’essere madre e moglie. Quella legittimazione che gli uomini possiedono già da bambini quando gli si dice che sono “il maschio intelligente” e alle bambine di dice: “Sii accondiscende”.

Ho iniziato a fare volontariato in un centro di antiviolenza, so di cosa parlo perché leggo le storie e non c’è condizione economica, età, titolo di studio omogeneo tra le donne che si rivolgono al centro.
La prevaricazione maschile è verticale. Colpisce dall’imprenditrice alla disoccupata senza alcuna distinzione.

A volte, la violenza è sottile e silenziosa, serpeggia dentro alle relazioni e nessuna la vede, magari dentro a una di quelle famiglie che agli occhi degli altri funziona. A volte, la violenza è manifesta e fisica.

Ma le prevaricazioni maschili sono, spesso, dentro ai giorni. Nelle parole della sera. Dentro ai letti. Sui mobili che le donne spolverano.

Nel “ti lavo i piatti”, nel “cosa vuoi di più”, nel ” sei la regina della casa”, “ti ho dato tutto”.

Una donna che si separa è, spesso, una donna che tenta uno slancio di autoconservazione.

Una donna che si separa ha di nuovo una grande speranza verso se stessa.

Sono preparata alle critiche, ma come scrive la Solnit, sono stanca che gli uomini mi spieghino le cose, sono stanca di dover sentire le parole “rubate e strumentalizzate” di Bauman sui rapporti liquidi.

Sono stanca di sentirmi dire da altre donne, che intanto gli uomini sono tutti uguali, sono come i “bambini” e ce li dobbiamo tenere così.

Non è vero. Ci sono uomini capaci di camminare affianco e non prevaricare.

Poi, esiste “il maschio intelligente” quello che pensa di potere così tanto da non concepire che la propria compagna, non è di sua proprietà e possa lasciarlo. Colui che ha interiorizzato come appartenenti al “sesso maschile” una serie di diritti.

La verità è che quegli uomini dovrebbero essere educati e non so perché nessuno ci pensi. Nessuno pensi che abbiano bisogno di lavorare sulle emozioni e sulle frustrazioni.

Non so perché tocchi sempre alle donne mettersi in discussione.

Sapete che vi dico?

Una donna ha il diritto di decidere della sua vita, anche se è sposata, anche se sta con voi da trent’anni, anche se.

Ha diritto ad amare se stessa in primo luogo, ha diritto a considerare la propria felicità prioritaria.
Ha diritto ad andarsene se non vi ama più.
Una donna ha i vostri stessi diritti.

Iniziate da qui.

Se vi lascia, non dipende solo da voi, dipende, soprattutto, da lei.

Lo so che non ci siete abituati a certi discorsi, non è solo colpa vostra, la responsabilità in primis è di questa società intrinseca di patriarcato.

Voglio che lo sappiate: c’è un momento nella vita di molte donne, in cui succede, iniziate a farci i conti: quel “Sii accondiscende” che si sono sentite dire come un mantra da bambine, la richiesta sociale, a un certo punto, si trasforma in “Sii libera”.

Non so se ve ne siete accorti, ma la schiavitù non esiste più.

Soprattutto in amore.

Penny

4 comments on “Il “maschio intelligente”. La paura degli uomini quando vengono lasciati.”

  1. Grazie Cinzia, dal profondo del mio cuore, ancora segnato dalla grande fatica che ho fatto, in tutta solitudine, ormai oltre 4 anni fa, a chiudere un matrimonio a rinnegare la promessa, per non continuare a morire. Nel mio caso la gabbia non era maschilista, ma cattolico – bigotta. Scelta irreversibile. Per anni sono rimasta, quel maledetto impegno, credevo bastasse. Avevo confuso amore e impegno. Ma quando l’amore l’ho provato davvero, anche se non ricambiato…allora sí , la sofferenza mi ha spibto a capire. E poi a decidere. Il matrimonio è una decisione (spesso inconsapevole) umana, e come tale ovvoamente reversibile, checché ce ne dicano i custodi dell’ordine sociale. Libertà di essere se stesse. Si paga, ma é preziosa e ne vale la pena. Grande abbraccio.

    • Mi sono commossa. E, ovviamente, non potevano essere più chiare le tue parole. Grazie davvero per aver condiviso la tua storia. Penny

  2. È una narrazione sgradevole e di parte.
    Presenta spunti corretti (la società patriarcale é un dato di fatto dal quale non si può prescindere) ma continua a peccare di affermazioni gratuite.
    Gli uomini che non si mettono mai in discussione, le donne che evolvono affrancandosi da un giogo millenario, gli uomini incapaci di capire quando vengono lasciati.

    Le donne lasciano.
    Gli uomini lasciano.

    Per le donne è più difficile perché la struttura patriarcale non le agevola.
    Per gli uomini è comunque difficile.

    Io trovo credibile ogni giorno che la mia compagna mi lasci.
    Ogni giorno penso che si possa stancare di me anche se ci confrontiamo, ogni giorno temo che possa reinnamorarsi.
    Ogni giorno temo che possa accadere anche a me.

    Ma poi non succede.
    Anche se potrebbe.
    Non oggi o domani.

    Ma potrebbe accadere.

    Non credo che l’esempio sancisca la regola. Ma non credo neanche che l’affermazione sancisca la verità.
    Destrutturare un rapporto di coppia riconducendolo ad una questione di genere ha senso perché ci permette di capire alcune
    dinamiche.
    Ma se eccediamo perdiamo una componente individuale che pesa comunque nella relazione.

    Forse la critica che mi sento di muovere maggiormente a questo pezzo è “territoriale”.
    Non conosco una sola coppia, nella mia vita, dove lei non lavori e non sia indipendente. Dove l’equilibrio sia di coppia e non di
    genere. il problema è che ci sono infinite sacche di passato in zone lontane.
    Che sono comunque Italia.

    • Mi trovo in accordo con alcuni concetti che ha espresso. Al di là del giudizio iniziale che ho trovato gratuito. Sì, post “territoriale”, se vuole definirlo così. Neanch’io credo che l’esempio sancisca la regola, però mi creda, ormai sono tante le email, lettere e commenti che ricevo e le narrazioni femminili e maschili sono molto simili. Anch’ io conosco quasi tutte coppie in cui le donne lavorano. Anche. In cui la relazione si basa sul patriarcato implicito ed esplicito, a partire dagli stipendi che non sono equiparabili e pesano all’interno della coppia, soprattutto, sulle donne. Questo è un fatto socialmente riconosciuto. Punto. L’equilibrio di coppia è influenzato dal genere. Dal potere politico, economico, sociale, che è in mano agli uomini. Sulle sacche concordo ma gli stereotipi sono più intrinsechi di quel che si creda.
      Grazie per il confronto.
      Penny

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