Sono giorni di riflessioni questi. Stamattina mi sono imposta di non aprire la giornata leggendo le notizie.
Dire che non ne posso più, è poco. Ogni passo avanti ce ne sono tre indietro.
A volte, il vedere continuamente la prevaricazione sulle donne, mi fa mettere in dubbio la mia capacità oggettiva. Anche perché me lo dicono: e basta con ‘sta questione femminile! Lo fanno per lo più gli uomini ma anche le donne. Pure le mie figlie ad una cena hanno sbuffato. Sono fastidiosa e lo so.
Ma, poi, se ci penso bene so che la mia non potrà mai essere una visione oggettiva, la mia è una visione più che soggettiva, perché ci sono dentro.
Sono una donna e come tale sento un’ ingiustizia profonda, lo stomaco si contorce, il cuore duole.
La mia, come la vostra è una storia di assenze. Noi apparteniamo alla cronaca. Grosseto. Ragazzina stuprata da tre minorenni nel bagno di casa. Ergastolo a Caputo, aveva buttato giù dalla finestra Fortunata Loffredo, 6 anni, perché si era rifiutata all’ennesima violenze, non tratteneva più le feci, aveva l’ano sfondato. Ho letto da qualche parte che l’ergastolo è stato dato perché “c’è scappato il morto”, altrimenti abbiamo visto, storia delle ultime settimane, quali pene sono le misere pene per le violenze sessuali. Al giorno d’oggi bisogna augurarsi di morire, ma, forse, nemmeno questo, basta vedere la storia di Martina di cui ho già scritto.
Potrei scrivere un libro e andare avanti, sarebbe bello alzarmi una mattina e scrivere un post su quanto è bella la vita.
E lo è, nonostante tutto, sapete come la penso. Ma vorrei farci e farvi ragionare su un aspetto.
Queste storie sono lontane da noi, sì, insomma, potrebbero non riguardarci, invece, non bisogna mai dimenticare che quello che avviene nella sfera pubblica: dai femminicidi, dagli eventi, al lavoro, alle decisioni in Parlamento, alle cariche dirigenziali, alle parole dei giornalisti, alla nostra quasi assenza nei premi ( ne cito due Campiello e Strega), non dobbiamo mai dimenticare che la sfera pubblica e quella privata si contaminano a vicenda.
Allora succede che in famiglia, magari abbiamo il marito che ci controlla la spesa e vuole vedere lo scontrino e noi lasciamo passare, il capo ufficio che ci tratta con sufficienza e noi lasciamo passare, la madre che ci dice: non uscirai vestita in quel modo, e noi lasciamo passare, un maschio alfa che fa apprezzamenti volgari alle nostre figlie per strada, e noi lasciamo passare.
Per non parlare dei: stai zitta, non capisci un cazzo, stai rovinando la famiglia, i tuoi figli soffriranno, se, per caso, vogliamo smarcarci da una vita di sottomissione e separarci.
E noi cosa facciamo? Spesso adeguiamo le nostre esistenze. Ci modellismo come possiamo senza neanche rendercene conto.
Copriti, diciamo alle nostre figlie, rientra con qualcuno, mi raccomando, fatti accompagnare. Oppure, risparmiamo il più possibile sulla spesa e se ci compriamo qualcosa lo nascondiamo al marito o ci sentiamo in colpa. Oppure, lasciamo che ci silenzi.
Fino ad arrivare a quella frase che mette a posto le nostre coscienze: lui mi ama.
Il problema non se ci ama lui, spesso, solo se rimaniamo dentro al suo raggio d’azione e se la nostra luce lo fa risplendere, ma quanto ci amiamo noi.
Difficile farlo in un mondo in cui per le cose belle e importanti, vedi premi, appunto, luoghi dirigenziali, discussioni, conferenze, per lo più siamo assenti, un mondo in cui noi siamo vittime di violenza e apparteniamo al mondo della cronaca.
Gli uomini parlano delle cose che riguardano le donne, per il resto, se c’è da prendere una posizione in nostra difesa, invece, sono in assenza di pensiero o non ci sono proprio. Dileguati.
Difficile amarsi quando la sfera pubblica non ci appartiene è ciò condiziona le vite all’interno del nostro privato.
Se parlasse di vestiti, diete e cellulite, sarebbe più semplice e, a volte, sarei tentata, vista la fatica di “vedere”.
Poi, arriva lei e il suo sorriso, non in una serata qualunque ma durante la finale di un Premio importante.
La storia la conoscete, Valeria Parrella, in sestina con Almarina (Einaudi), con prontezza e intelligenza, ha messo il dito nella piaga in quello che stava succedendo e che continua a succedere nel mondo letterario e nella società italiana, ovvero, gli uomini che parlano delle donne “mansplaining”. Un cortocircuito culturale che si verifica quando un uomo parla di qualcosa che riguarda le donne, ma restando fuori dal contesto vero del problema.
Una frase: “Ah, con Augias ne dovete parlare?” ( si riferiva al #MeToo), un sorriso e un “Auguri” sono bastati per rimettere, almeno per un attimo, le cose a posto.
E ho pensato che non sono sola e non siamo sole e di quello che ha detto Augias e Zanchini non mi frega niente.
Tengo a mente quel sorriso e quello sguardo che è di lotta, non arrendevole ma così forte da rimanere impresso e da far parlare di NOI e della nostra assenza.
Quella sera c’era solo Valeria Parrella al premio, unica donna, ha vinto Veronesi, un uomo, eppure lei è riuscita ad esser vista.
Il suo era un sorriso identitario e soggettivo perché riguarda la nostra storia di donne.
E se il pubblico contamina il privato. Un giorno, spero non troppo lontano, le nostre vite, quelle quotidiane, cambieranno.
Nel frattempo, chi sta ferma?
Io no. Guardo. Anche se fa male.
Penny