Mia figlia piccola si è fatta cuccia, nido, grotta, ancora prima che ci fosse il coprifuoco. Un suo compagno era positivo e anche se non lo vedeva da un paio di giorni ha deciso che avrebbe limitato i suoi contatti.

Esce poco, lo ha fatto ieri per qualche ora in piena sicurezza. Si preoccupa di chi ha vicino, redarguisce chi non tiene conto degli altri e soppesa inviti e impegni.

La vedo girare per casa come fosse in campeggio, ha con sé tutto il necessario. Era già preparata dalla Dad e si è adeguata presto. Ogni tanto si lamenta ma nulla più. Alla sera guardiamo il telegiornale insieme, fa molte domande, credo che dentro di sé cerchi delle risposte.

Ha sedici anni e si è semplicemente adattata, ha cercato strategie per collocarsi dentro a questa nostra storia del coronavirus, che è anche la sua.

“La nonna?” mi chiede.

Vuole avere conferma che stia bene, credo che non potrebbe accettare di avere una qualche responsabilità sulla sua esistenza.

Non credo stia male, la sento fare lunghe chiacchierate con i suoi compagni, non ha interrotto i contatti e non ha interrotto la sua vita, l’ha adattata a qualcosa che non si riesce a controllare. Ieri è uscita per un incontro con gli scout all’aperto ma è tornata subito: copertina e film, copertina e compiti.

Non sono preoccupata per lei, ho due figlie, con responsabilità cercano a loro modo di affrontare la situazione. La scuola o quel che resta, il richiamo dei professori al lavoro quotidiano, è sicuramente un grande aiuto.

Ogni tanto le chiedo se sta bene, perché lei tra di noi è quella più chiusa. Non mi dimentico di farlo, anche quando si aggira cappuccio in testa e non vuole essere disturbata. Io la disturbo. Io voglio essere la vita che la richiama. Il suo presente.

“Stai bene?”. A volte ci dimentichiamo di chiederlo ai figli, facciamo altre domande del tipo: hai mangiato? Hai fatto i compiti? Sei uscita/o? Hai messo in ordine la tua camera? Ma quella domanda: STAI BENE? la diamo per scontata. Invece, a volte, l’aspettano e hanno cose da dire, altre alzano le spalle e ti guardano con sufficienza ma sono sicura che ci pensino.

Sapere se stiamo bene è importante, le domande che ci facciamo nella vita sono anche un’abitudine. Se nessuno ci chiede mai come ci sentiamo rischiamo di non imparare a porci quella domanda, di porne altre.

Magari le domande che ci poniamo sono più sull’agito e meno sul sentire, così impiliamo azioni, prendiamo decisioni senza nemmeno sapere cosa sentiamo davvero.

Stai bene? È una di quelle domande che va insegnata. Ovviamente l’accoglienza della risposta è un nostro dovere, qualunque essa sia.

I figli trovano mille modi per dirti che non stanno bene anche le non risposte sono risposta.

Soprattutto ai maschi, ma non solo, bisogna insegnare ad usare le parole. Usare le parole, abbozzare un simil discorso, lasciare che quella domanda riecheggi dentro di loro, vuol dire insegnare a mettere ordine nell’esistenza.

Non procedere per procedere ma imparare a farsi domande intorno alla vita e alla felicità.

Non sempre i silenzi sono parte buona dell’esistenza, a volte, sono atti più o meno violenti. L’omissione, il non sapere, il non poter esprimere ciò che si prova, la negazione del dolore o della paura, è in qualche modo violenza. Non permette di affrontare.

Ad ogni modo, io le chiedo spesso come sta, lo chiedo ad entrambe. Devo dire che in questo momento, soprattutto la sedicenne ( forse perché è più piccola), mi sta dando una grossa lezione di vita.

Lei è come se avesse cercato dentro di sé le risorse per reagire. Non le ha cercate fuori, dagli altri; si è preparata lo zaino, ha messo l’indispensabile, ed è partita per questo suo viaggio di sopravvivenza.

Niente lamentazioni, chiede quando finirà ma sa già come affrontare l’inverno. Nel frattempo vive, solo in un modo diverso da come faceva prima.

A volte, quando la guardo penso che dovrebbe essere sempre così, dovremmo cercare dentro di noi le risorse per farcela, invece, spesso, ci affidiamo all’esterno, come se dagli altri potessero arrivare le risposte.

Comunque, io non smetto di domandarle come sta in modo che non dimentichi di farlo con se stessa. Ho montato una tenda accanto alla sua. Ho preparato il mio zaino, questa volta sbirciando da lei. A volte i figli sanno attrezzarsi meglio di noi.

Penny

I primi di ottobre è uscito questo mio albo. Un modo diverso di pensare la genitorialitá. Un’eredità per i figli.

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