Ci sono giorni che mi faccio prendere dallo spavento. E non so se dipenda dal tempo o da quello che sta accadendo nel mondo, ma succede qualcosa dentro di me di cupo.
Forse perché sono sola e, anche se non lo sono davvero, mi ci sento. Non bastano i figli a colmare la solitudine e nemmeno un amore.
Così, faccio una serie di pensieri, parlo ad alta voce e mi dico che mi sono sempre rialzata, perché non dovrebbe accadere di nuovo?
Mi avvito o mi avvoltolo. È come se avessi bisogno di scrivere l’elenco della spesa per ricordarmi chi sono. Testa, cuore, un passo dopo l’altro. Si cammina così.
Mi preoccupo, economicamente ed emotivamente. Così, oscillo dal chiedermi se ho detto la cosa giusta alle mie figlie, alla vendita dei libri. E non contenta, mi affanno e cerco di impilare azioni in una corsa intorno a me stessa.
Tutte le volte ripercorro le stesse strade, perdo la bussola, giro in tondo cercando di controllare per poi accorgermi che non controllo nulla. Esattamente nulla.
Inutile spingere le mie ragazze a fare qualcosa, anche se gli chiedo cinquanta volte una cosa non sortisco nessun effetto, mi incazzo, urlo, per poi capire che potrei lasciare andare. Perché quello che sento non è quello che sentono loro.
Potrei lasciare andare tutto e non cambierebbe niente. Nulla di ciò che ho intorno crollerebbe. E se crollano qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Funziona così, ogni tanto, mi ricordo di non essere indispensabile se non a me stessa, allora, provo a fermarmi.
Fermarmi vuol dire sdraiarmi, ad esempio e chiudere gli occhi. Fermarmi vuol dire portare fuori Alaska e guardarla mentre corre come una pazza senza farmi prendere dall’angoscia che devo fare trecento cose. Fermarmi vuol dire prendere in mano quel libro che ho mollato per le urgenze e immergermi in una storia.
Fermarmi vuol dire pensare che le cose andranno come devono andare, io sarò la scrittrice scriteriata senza scacco matto, ma posso scegliere che tipo di persona voglio essere. Rimettermi in contatto con me.
Vorrei essere una che vive la sua vita senza subirla. Vorrei non spaventarmi perché ho scelto di cavarmela da sola. Vorrei avere sempre lo stesso coraggio, invece, a volte devo accartocciarmi su me stessa per ritrovarlo.
Devo girare intorno a quell’isolato che sono io per ripartire. Allora, mi è chiaro che in quei momenti di sconforto non ho perso la forza, semplicemente, mi sto ricaricando, ho bisogno di chiamarla di nuovo per nome per non dimenticarmi come si fa a procedere da sola.
Lista della spesa: testa, cuore, passo dopo l’altro.
Ci hanno insegnato sempre ad aver bisogno degli altri, soprattutto di un uomo e poi succede che ce la facciamo oltre ogni previsione. Di quella meraviglia ci stupiamo come se non fosse l’ordinario.
Avvoltolarci credo sia necessario, serve per ricordarci che quell’ordinario, l’andare avanti contro ogni previsione, giorno dopo giorno, senza stampelle, sia il nostro straordinario.
Quel procedere, ragazze mie, dentro alle ingiustizie ( alimenti non versati, carico famigliare…), al giudizio subito ed espresso di mariti ( musi, richieste, disequilibri…), ex mariti ( distruggi la famiglia), suocere ( come farai da sola?), persone varie ( non hai figli? non hai un uomo?), sia una dolce vittoria.
Sono gli altri che restano indietro e contro ogni previsione viene ribaltato il verdetto.
Non c’è niente di più fastidioso di una donna non controllabile e che, nonostante, il caos cosmico della sua esistenza, proceda più o meno felice.
Niente di più importante che mettere un passo dopo l’altro e andare avanti.
Penny
PS; non dimenticatelo nello sconforto. Vi abbraccio tanto.
I primi di ottobre è uscito questo mio albo. Un modo diverso di pensare la genitorialitá. Un’eredità per i figli.
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/