In questo Natale così strano, in cui “professo” discorsi sulla maternità come se fossi sempre in bolla ?♀️, per promuovere “Ai figli ci sono cose da dire”, penso spesso che tra il dire e il fare ci sono di mezzo IO.
Chi ha figli e figlie adolescenti ( a proposito, quando inizia e finisce ‘sta cavolo di adolescenza?), credo possa capirmi?.
Un po’ di tempo fa, su fb ho scritto un post, su quello che una madre dovrebbe dire ai propri figli:
“AI figli ci sono cose da dire come ad esempio che i calzini hanno un posto. Pure le mutande lo hanno e che i dischetti struccanti quanto hanno struccato, dovrebbero finire nella spazzatura non rimanere sul mobile.
Ai figli bisognerebbe dire, tra l’altro, che il bidone ha un sacchetto e che esiste un centro. Che la casa non torna a posto quando escono la mattina e noi non siamo come Mary Poppins a cui basta una pillola. A noi ne servono due o tre per resistere e continuare ad insistere.
Ai figli bisognerebbe dire che le lavatrici non si fanno da sole e che i peli nella doccia qualcuno li deve togliere e sarebbe bene se ognuno si togliesse i suoi. Bisognerebbe dire che le madri a volte sono padri e colf e diventano curve presto.
Ai figli bisognerebbe dire che la suddivisione dei compiti è suddivisione dei compiti, oggi non tocca a me e domani pure. Che per apparecchiare o togliere tavola ci vogliono esattamente due minuti. Quei due minuti risparmierebbero ore di urla materne e tutti ne avrebbero un vantaggio. Che la roba stesa rimane stesa se nessuno la toglie. Che i vestiti delle madri sono delle madri non di tutti i figli che le appartengono. Che arrivare la sera e trovare la casa esattamente come l’hai lasciata la mattina se non peggio, fa desiderare di abdicare al ruolo di madre e fuggire ai Caraibi.
Ai figli bisognerebbe dire che prima o poi rotoli di carta igienica senza carta igienica capiteranno anche a loro e, allora, la madre, quando una delle due chiamerà seduta sulla tavoletta del water, farà finta di non sentirle mentre si berrà un bicchiere di rosso e guarderà una serie tv. E non ci saranno richieste, urla o suppliche, lei non sentirà.
Ai figli ci sono cose da dire come ad esempio che le madri sono umane e non hanno risorse infinite, a volte sono stanche. Ma restano. Restano sempre. Ai figli bisognerebbe ricordarlo. Magari quanto rientreranno tardi o mentre gli rimbocchiamo le coperte o gli raccontiamo quella storia che a loro piace tanto.
Ai figli bisognerebbe ricordare che noi siamo qui. E non è scontato. Mai. Nemmeno per noi”.
Tanto per dire…da una parte ci sono gli insegnamenti e i grandi sistemi, dall’altro c’è la “disastrosa” quotidianità, che quelle due stronze delle mie figlie, appena faccio una richiesta, mi guardano come fossi una pazza da ricovero immediato e la cosa assurda è che riescono nell’intento! Sì, insomma, quella roba lì, in cui, di fronte ad assorbenti mollati in bagno e maglie messe in lavatrice alla rovescio, una sull’altra, sedie ricolme di maglioni, mi esce il fumo dalle orecchie, i nervi si tendono e urlo.
Urlo. Finisce sempre allo stesso modo. Io urlo e loro mi dicono: “Stai calma!”, allora gli dico: “Toglietevi di qua” e loro non si tolgono, peggio di una colonia di Buddha. Così esco. Esco il prima possibile. Abbandono la nave. Le mollo. Che affondi questa nostra barchetta, intanto, quella che affonda sono io!
Cammino. Mi allontano. Prendo le distanze. E dopo averlo fatto, parlo con qualche amica e scopro che sono matta come ogni madre “normale” su questa terra.
Quando torno a casa non mi preparo neppure più un discorso. Niente di niente. Nessuna riconciliazione. Non ce n’è bisogno. Nessun discorso serio. Intanto conosco il finale. Hanno dimenticato tutto, loro dimenticano di avermi dato delle pazza, il fumo nelle orecchie, le mie urla e il resto. Se sono in buona, mi abbracciano persino e mi parlano con tenerezza, come se quella storia, vissuta solo un paio d’ora prima, fosse stata solo una mia invenzione. E forse è così.
Scendo e salgo nel “matronomo”, su e giù per le montagne russe ad inseguire me stessa. Il problema rimane sempre lo stesso, io le amo e non ci posso fare niente. Riconciliarmi con le mie figlie è più forte di qualsiasi altro sentimento.
Non credo che nessun figlio si ponga il problema se siamo o no delle buone madri, quella è una nostra fissa e del patriarcato, per loro credo sia importante solo una cosa: esserci, pazzia inclusa. Esserci nonostante.
E si torna sempre lì, alla nostra storia d’imperfezione.
Ci sta tutto dentro alla maternità, ci sta il sali e scendi, i conflitti, le perdite, il fumo nelle orecchie, i nervi a fior di pelle, i vaffanculo e le porte sbattute. Ci sta tutto.
Proprio tutto. La verità è che loro ci perdonano un sacco di cose, così come facciamo noi.
Dentro alla caducità della vita, al disequilibrio, al mondo che frana, noi siamo la loro costante. Le chiavi nella porta e il nostro scontato ritorno.
E ho la vaga sensazione che a loro basti, perché i nostri figli lo sanno:
Noi siamo fatte per restare.
Penny
P. S Buon Natale a tutte le madri, anche a quelle che si fanno padri, a chi cuce, riempie, colma la vita dei figli degli altri, alle madri delle mie figlie che sanno farsi tali quando io mi perdo un po’.❤️
Ps: le ho dato il titolo e quella merdaccia di mia figlia mi ha detto: ti disegno!?
Qui il testo serio ➡️ I primi di ottobre è uscito questo mio albo. Un modo diverso di pensare la genitorialitá. Un’eredità per i figli. https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/