Conosco gli scatti d”ira, rabbie semplici per qualcosa fuori posto, vestiti buttati alla rinfusa sulla sedia, la fretta di arrivare puntuali. “Per la miseria lavatevi i denti… infilatevi la giacca, riordinate… non state lì impalate…non è l’ora di fare merenda!”. Bambine trascinate con il petto che trasuda di sforzi. Ancora adesso che le mie figlie sono grandi, a volte, ho delle rabbie improvvisa. Mi va la merda al cervello, quando sono carica di sacchetti e non rispondono al citofono, oppure quando ci sono i piatti ancora nel lavandino o quando devo raccogliere la moka che hanno buttato noncuranti fuori dalla spazzatura o quando quando. Non ho mai detto: “Il mio cuore di mamma…” né ho mai provato una dedizione cieca e pacata. Mi sono sentita in colpa per questa mancanza di premura, per il nervoso che ogni tanto si impadroniva e si impadronisce di me; anche se dopo la separazione, devo ammettere, che sono migliorata. Me la sono smazzata, nessun contrasto educativo, la solitudine ha il suo lato positivo oltre a non dover apparecchiare per quattro o pensare alla cena per quattro o fare lavatrici per quattro. Le miei figlie conoscono la tempesta che irrompe e la quiete che la segue. Ogni volta. L’atto di ribellione per me è non pulire la casa, cucinare, sbattere i tappeti o lavare i vetri una volta ogni tanto, l’atto di ribellione è dimenticare le manovre di cura a cui siamo soggette. “Attenta al bambino” dice un lui ipotetico mentre lei, che potrei essere io, si scapicolla a salvare il figlio, nel mentre cucina, riordina, pensa a ciò che manca, tira su un calzino. Se le va bene qualcuno a turno mette e toglie tavola, se le va male, lo fa lei per non sentire i figli litigare e il marito dirle che quei figli non sono educati per bene. Ho capito perché scatto, quando succede, sono furiosa con me stessa perché cado nella trappola della manutenzione continua delle cose e degli affetti. Di tutti, tranne i miei. Con il passare il tempo ho capito il senso della mia ira e quando chi ho accanto mi dice che sono isterica, semplicemente, ha ragione. Sono isterica perché furiosa per tutto il lavoro sommerso, per il corpo stanco, per quel rimuginare continuo che mi penetra persino nei sogni, sono furiosa perché l’unico ordine del mondo prevede due pesi e due misure e non ha a che fare con l’equa distribuzione dei ruoli tra femminile e maschile. Nonostante questo, c’è qualcosa di dirompente che continua a spingermi fuori dal confine intimo della famiglia, è quello spazio di salvezza che spero le mie figlie colgano dentro alla mia burrascosa esistenza, alla mia rabbia, alla polvere e all’usura della nostra casa. A quella libertà che appartiene tanto alla quiete quanto all’ira, un’ira che, se non altro, ci dà la possibilità di agire sulle nostre vite.