A volte, quando guardo le mie figlie inquiete davanti allo specchio, vedo la mia storia.
Non si piacciono, e la cosa che desiderano di più è essere magre, corrispondere ai canoni di bellezza. E desiderano essere piccole, perché le piccole piacciono ai maschi.
Una donna piccola e minuta è una donna che l’uomo può proteggere.
D’altronde, il messaggio maschile è quello della virilità e deve essere un casino anche per loro mantenere il passo.
Comunque lo sapete, pure io sono continuamente in lotta con me stessa. Due giorni su tre sono a dieta. Due giorni su tre mi detesto. Ed è così da sempre.
A volte mi chiedo se nella vecchiaia troverò un po’ di pace, se la pelle potrà cascare tranquilla o a ottant’anni cercherò ancora un corpo diverso dal mio.
Non so se per me sia tardi, ma credo di no, di certo possiamo far cambiare rotta alle nostre figlie usando parole clementi con noi stesse.
Il nostro corpo ci appartiene, fa parte di noi e siamo identificabili con quello. A me, in fondo, sembra una cosa bella.
Un po’ come il nome, con il nome le persone ci riconoscono.
Quel corpo che vogliamo magro a tutti i costi, come se fosse nascosta lì la felicità, dobbiamo celebrarlo così com’è. Come si celebra la vita.
O, forse, pensare alle diete ci distrae dal presente?
A me è successo, pensare alle diete mi faceva concentrate su un ipotetico ideale futuro in cui avrei attraversato valli di felicità.
La prima volta che mi sono vista bella non è quando mi sono innamorata, o quando sono dimagrita è quando la mia vita ha preso una rotta diversa, ovvero, quando ho iniziato quel cammino arduo e in salita di realizzazione di me stessa.
Una cosa è certa, se non impariamo noi madri, non potranno farlo le nostre figlie. E le figlie delle figlie.
Perché la ricerca della bellezza è un’altra di quelle richieste sociali che vengono fatte a noi donne.
È attraverso la pelle che andiamo incontro all’altro. Lì cominciamo e lì finiamo.
Il corpo ci protegge, ci dice quando qualcosa non va, a volte, si ribella e si fa sentire. La mia pancia tanto odiata è il mio maggior alleato. Se qualcosa non va lei mi avverte.
Noi non siamo solo quello che si vede ma molto di più, siamo quello che non si vede.
Siamo esseri mancanti, questo dovremmo dire alle nostre figlie. E sono le mancanze a tenerci in vita. L’incontro con l’altro, le passioni, il desiderio.
Su quello dovremmo cercare di concentrare le nostre esistenze di donne.
“Ciò che vedi allo specchio sei tu, l’essere che amo”, dovremmo dire alle nostre figlie, e dirlo con convinzione a noi stesse.
Forse si ameranno, e non chiederanno al proprio corpo di essere altro da sé. Forse sapranno amarci come non siamo mai state capaci.
In fondo il corpo non è che un approdo, luogo di memorie. E anche questo mi sembra bellissimo.
Come madri possiamo rispondere al loro desiderio di essere desiderate amandole nelle fratture, nei buchi, nelle crepe.
Ai padri direi di portare gli occhi sulla propria compagna e posarsi dove lei non si riesce a guardare. Di raccontare alle proprie figlie di cosa si innamora un uomo.
È anche attraverso il loro sguardo di padre che sapranno volersi bene come donne.
Dobbiamo insegnare che l’unica cosa essenziale alla vita è il legame con l’altro, nulla di pìù. E come partecipare al meglio a questo meraviglioso viaggio che è l’esistenza.
Non si faranno picchiare o non moriranno. Saranno quello che sono. Quello che possono essere.
Si ameranno e le catene verrebbero spezzate.
È questo lo sforzo, alzarsi una mattina, una qualunque e portare il nostro corpo, ovunque siamo, ovunque andiamo, con orgoglio.
Mandare affanculo gli stereotipi che ci vogliono un po’ seducenti, un po’ remissive in base a dove fa comodo collocarci, e spingere le azioni verso l’autodeterminazione.
Non saranno un paio di tacchi, un corpo magro, a farci stare bene, nemmeno un paio di firme qui e là, sarà l’aderenza a noi stesse e ai nostri più intimi desideri.
Quindi, oggi, e anche domani, mentre camminate, testa alta, cuore pieno e passi decisi. Spazio ai sogni.
Lo sguardo che posate su di voi vale più di tutto il resto.
Penny.
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/
Nel nostro limite sta la nostra perfezione. Buona notte 🙂
i bambini sanno………. (anche un gran bel – aggettivo riduttivo – documentario…da non perdere!)
tu, sensibile a questo argomento, quando hai 20 minuti di tempo, dovresti vedere la clip dei Bambini abbandonati alla nascita (I bambini Dharma) sull’intervento di Giovanna Castelli al TedxBologna (conosci?) ti metto il link
https://nondefinitivounderconstruction.wordpress.com/2017/01/09/i-bambini-dharma-espressione-damore/
Leggere le tue emozioni mi fa credere che tu sia una mamma aperta al dialogo ed un’insegnante capace di andare oltre le ovvietà ed i programmi scolastici. Ce ne vorrebbero. La bellezza che sta in noi si specchia nelle parole di ogni genitore…ciò che ascoltiamo o percepiamo,ogni parola pronunciata da nostro padre o da nostra madre,contribuisce alla nostra identità futura. Ogni domanda che ci viene posta a scuola,implica una riflessione. E se la riflessione viene guidata al di là degli schemi ci arricchisce. Non esiste miglior insegnante di colui che sa porte le giuste domande. È tu mi sembri l’insegnante giusta. Buona giornata Penny. https://claudiabrugna.com/2017/01/02/di-zucche-e-cicogne/
…grazie!
Mi fai piangere sempre 🙂 sono mamma di 2 maschi e, comunque, questo articolo mi ha dato spunti interessanti per parlare con loro ma, soprattutto, ha raggiunto me ed è stato un balsamo. Grazie.
MI hai emozionato. Sai che i maschi nell’adolescenza, vanno in crisi nera per la propria sessualità? Le ragazze di oggi sono molto avanti e loro si spaventano. Alcuni diventano aggressivi, altri si ritraggono. Quindi, non so quanti anni abbiano, ma raccontagli quali sono le cose che fanno innamorare una ragazza. Di non avere fretta. Della bellezza.
Un nome ce l’hai che non sia così complicato? Oppure da cosa deriva quell’insieme di lettere un po’ difficili da leggere? Se vuoi io sono qui. Mi chiamo Penny e ti ringrazio tanto. Balsamo su balsamo.
Ciao Penny, il nickname altro non è che l’iniziale del mio nome unito ad una traduzione maccheronica del cognome. É impronunciabile, lo so, ma mi fa sorridere!
Ho bisogno di raccogliermi ancora un po’ e poi ti scrivo, mi hai rimesso in moto il cervello e le emozioni. Grazie
Allora ti aspetto non ho fretta. Non mi muovo nome complicato. Penny