La settimana scorsa ho chiesto ai bambini di ricopiare un breve testo su un foglio.
Non ho dato un tempo. La consegna, però, era precisa. Il lavoro semplice.
La prima bambina, straniera, ha finito il suo lavoro di copiatura in 10 minuti, qualcuno in 15, qualcuno in venti e così via.
Qualcuno ha saltato delle lettere, qualcuno è andato a capo quando non doveva. Qualcuno non ha fatto errori.
Suonata la campanella c’erano ancora due bambini che stavano scrivendo. Uno si è alzato e me l’ha consegnato, l’altro ho dovuto richiamarlo perché mi portasse il suo lavoro.
Quest’ ultimo, siccome ne aveva copiato solo metà, quando mi è venuto vicino mi ha detto con una voce sconsolata: “Ma io non l’ho finito!”.
“Non importa”, gli ho risposto, “hai tempo. La prossima volta lo finirai con calma. Non ti preoccupare”.
Mi ha sorriso, si è tranquillizzato ed è volato a mensa.
Sapevo che le mie parole potevano andare in due direzioni: farlo sentire incapace oppure rispettare il suo tempo. Più lento?
Forse.
Ho pensato a tutte le volte in cui ho imparato a fare le cose di fretta, in cui miei tempi sono stati costretti dai tempi degli altri.
“Hai tempo”, mi sembra una bellissima cosa da dire i bambini. Mi sembra una bellissima cosa da dire a se stessi.
L’ho detto a lui, ma l’ho ricordato alla bambina che sono stata, alla madre e alla donna che sono.
Dagli tregua.
Datti tregua.
Non c’è un solo modo di essere bambino o bambina. Un solo modo di essere padre o madre, donna o donna. Neppure un treno da perdere.
Imparo tanto dai miei bambini.
Abbiamo sempre paura di rimanere indietro. Di non essere giusti. Andiamo dietro a questa frenesia che coinvolge le nostre vite, come un’ossessione.
Su 20 bambini nessuno ha finito contemporaneamente. Nessuno è uguale all’altro.
Ci sono quelli più veloci, quelli che hanno bisogno di produrre perfezioni, quelli mangiati dall’ansia che finiscono in fretta, quelli che cancellano a più non posso, quelli che prima di scrivere una parola devono pensarla e pure parecchio.
Mi chiedo perché dovrebbero essere costretti ad essere in un unico modo, la cura è importante, la qualità pure. Anche quella della vita, mi sa.
Certo, sono fortunata, le famiglie dei miei bambini rispettano quel tempo. Lo sanno che i lavori possono concludersi in momenti diversi. Lo sanno che i loro figli hanno diritto a quel tempo che è il loro.
Che lo sforzo sta nel riconoscergli quella lentezza o quella velocità, ciò che li caratterizza.
Lo sanno. E sanno che fa bene soprattutto a loro, come adulti, rispettarli per quello che sono. Per conoscerli davvero.
Sono i bambini che ci regalano il tempo. Quello lento. In assenza di competizione. Dell’infanzia. Dei bacini. Degli occhi spalancati. Del corpo abbandonato dentro al nostro. Della lucina accesa. Dell’odore di casa.
Quel tempo in cui non si deve dimostrare un bel niente. Un tempo d’amore. Così pieno di niente da essere pieno di tutto.
Quello in cui non serve altro. Solo tempo.
Penny
#ilmatrimoniodimiasorella
che bello quello che hai scritto, Cinzia!
Grazie tesoro, ci provo. Provo a ricordarmi di darmi e dare tempo. Penny ❤️
Stupende parole! Vorrei che i miei figli avessero una maestra come te…ma anche noi genitori! Come si fa?!?!
Grazie ancora…mi fai riflettere!