Biella. Raffaella, 58 anni, insegnante, stava stirando, lui ha afferrato il ferro e le ha sfondato il cranio.
Fermatevi un attimo.
Pensate alla forza. Alla rabbia. Al ferro caldo. È quasi inimmaginabile.
Poi, lui, dopo, si è tagliato la gola. Lei ha fatto in tempo a chiedere aiuto ed è svenuta. Entrambi sono in gravi condizioni.
I giornalisti scrivono che non si conosce il motivo, io non credo ci sarà mai un motivo valido per un gesto del genere.
Di certo mi viene da fare una riflessione su quanto ai bambini viene richiesto di manifestare forza, coraggio e comando. In poche parole li si educhi al potere.
Lo fa la società con le leggi sul lavoro, la pubblicità, la letteratura, la cinematografia, la nostra amata televisione, le parole degli adulti.
L’esternazione della rabbia è accettata come parte della loro mascolinità, invece, non gli si parla mai di sentimenti, quelli riguardano il femminile.
Così, i bambini tendono a confondere tutte le emozioni: la tristezza, l’ansia, e la paura con la rabbia e attraverso di lei reagiscono.
Imparano da adulti a non riconoscere e sottovalutare altri sentimenti e a gestire tutto con il controllo e se non riescono a diventare abbastanza forti e a sottomettere, il senso di frustrazione sarà altissimo e la gestione della rabbia impossibile.
È accettabile che una bambina chieda aiuto, lo è meno nei bambini.
Non frignare, fai l’ometto…messaggi chiari. Comprimi tutto, insomma, se non lo fai sei una femminuccia.
Io non so quanti uomini siano in grado di chiedere aiuto quando stanno male, quanto siano in grado di mettere in discussione se stessi; e il sistema stesso promuove questa cultura, quando si pensa che la soluzione, dopo una violenza, sia solo quella di agire sulle vittime e non sui carnefici.
Quando una donna denuncia bisognerebbe andare a fondo, prendere quell’uomo e obbligarlo a seguire un percorso di rieducazione, perché se non andiamo alla fonte e, soprattutto, se non sradichiamo il sistema fin dall’infanzia, educando anche i bambini in modo diverso, difficilmente riusciremo a salvare altre donne.
E poi, dentro a queste storie emerge sempre la solitudine. Nessuno sapeva.
Perché raccontare di non essere una famiglia del Mulino Bianco è ancora una vergogna, raccontare di non sentirsi amate, di avere paura, di subire forme di violenza, va nascosto.
La tristezza, la depressione, l’ansia vanno nascoste sotto al letto.
La società presenta un modello di donna capace di reggere con il sorriso stampato in faccia e la crema antirughe sul comodino.
Un modello di donna felice di essere madre, moglie che si prende pure cura del suo aspetto.
E, allora, se le cose non vanno, nessuno deve sapere. E se racconti, magari trovi una madre o una suocera o un’amica che ti dicono:”Succede così a tutte, con i mariti bisogna avere pazienza”.
Per questo è importante raccontare alle figlie, ai figli, alle amiche care la verità perché solo attraverso la verità le situazioni difficili sono affrontabili.
Penso alla Raffaella bambina e a quell’uomo che sarà stato un bambino. A cosa gli avranno detto, cosa avrà pensato, come sarà cresciuto, a quella voce continua che gli ha fatto credere che compito dell’uomo è quello di dominare.
Magari c’è stato un No di Raffaella. Magari il primo. Magari lui non ha retto la frustrazione di perdere il controllo su di lei.
Supposizioni.
Bisognerebbe smetterla di cercare il motivo nelle liti o nelle separazioni.
Il motivo va ricercato nell’educazione che impartiamo alle nostre bambine e ai nostri bambini.
Il motivo è dentro al sistema sociale e a quella cultura che rende alcune donne vittime e alcuni uomini carnefici.
Penny