Ogni donna dovrebbe  spingersi non solo oltre i limiti che una società le impone ma oltre i limiti che impone a se stessa.

Una ragazza non dovrebbe sognare il suo abito bianco e la musica che desidera mentre percorre la navata.

Una ragazza dovrebbe sognare i suoi desideri di emancipazione.

Questo non vuol dire essere una donna priva di sentimenti o arida, vuol dire dare a sé stesse la possibilità di essere felici e realizzate tanto quanto se la concedono gli uomini.

Una donna può, e non perché è donna o abbia una marcia in più, può perché è una persona con uguale dignità e diritti.

A volte, basta rovesciare gli schemi che ci vengono imposti, basta avere il coraggio di essere prima di tutto una persona.

Una donna forte non è quella che tiene tutto insieme, la regina della casa che si affanna per non perdere i pezzi.

La donna forte è quella che si concede la debolezza di non essere la madre perfetta, la moglie perfetta, secondo il criterio di devozione e disponibilità imposto dal sentire sociale.

La donna forte è quella “egoista”, passatemi il termine, quella che regge con fatica il giudizio altrui, che pensa ed aspira a sé stessa con grande determinazione.

L’attitudine femminile viene associata, spesso, alla nostra capacità di essere piacevoli e disponibili, nel soddisfare i bisogni degli altri, del marito, dei figli, del capo ufficio.

Ci viene imposta l’attitudine alla sensibilità, che sarebbe buona cosa se fosse una caratteristica anche richiesta all’uomo.

Diciamoci la verità i figli maschi vengono cresciuti nella convinzione di poter scegliere la propria indipendenza e sviluppare la propria genialità, avendo al contempo relazioni amorose, noi, fin da piccole siamo messe nella condizione di scegliere tra la nostra libertà e l’amore.

La nostra rappresentazione nei secoli è la verginità o la maternità. Ciò che sta in mezzo si colloca spesso in epiteti angoscianti nei confronti delle donne ( zitella, troia, frigida…).

La donna forte, se proprio vogliamo tenerci questo termine, non è la vergine che nonostante i propri desideri, resiste, si immola alla docilità e nemmeno chi sacrifica se stessa.

Questo è un tranello bello e buono.

Noi, semplicemente, non dobbiamo essere forti, se il gioco dentro cui veniamo collocate è sempre lo stesso: il sacrificio.

Sacrificarsi perché la casa sia in ordine, la cena sia servita, il capo non si lamenti.

L’amore in mezzo. Se c’è.

E noi? Sì, insomma, il nostro benessere?

La devozione e l’abnegazione andrebbero bene, forse, se condivise anche dall’uomo, ma sappiamo che nella maggioranza dei casi non è così.

Queste “qualità” non gli sono richieste, non vanno di pari passo con la mascolinità.

Se fossimo davvero libere non dovremmo tenere insieme nulla. Né dare dimostrazione continua di forza. Non in questi termini.

Non dovremmo scegliere tra aspirazioni personali e amore.

Se fossimo libere davvero non dovremmo occuparci dei sentimenti di tutti, tranne che dei nostri.

Se fossimo libere non ci importerebbe niente di essere forti.

Ci importerebbe delle nostre aspirazioni, come fanno gli uomini.

Sarebbe un peccato?

Se sottrae i privilegi che gli uomini hanno acquisito nel tempo, credo che potrebbe essere considerato un peccato. Non di certo per noi.

Per questo non ci siamo mai. Non compariamo nei luoghi decisionali mentre loro continuano a dirci che siamo forti, che abbiamo una marcia in più ecc, ecc, ecc…

Finché quella forza rimane in ambito domestico non li disturbiamo neanche un po’.

Sinceramente?

Di essere forte me ne fotto, anche di essere multitasking, voglio poter perdere dei pezzi e che di quei pezzi se ne occupi anche un compagno, un marito, un uomo.

Pretendo di avere posti e luoghi visibili tanto e quanto quelli degli uomini.

Voglio avere voce e non in ambito domestico e nella conciliazione.

Voglio avere voce nella società dove siamo e rimaniamo invisibili.

#datecivoce.

Penny


PS: guardatevi questa serie e riprendete in mano la vostra forza, quella che accompagna le aspirazioni non il servilismo.

2 comments on “La fregatura sociale dell’essere donne forti. #datecivoce”

  1. A gran voce sì. È il più bel dono che possiamo farci. A qualcuno che mi aveva promesso lacrime e sangue per certi comportamenti ho risposto che ho sanguinato tutti i mesi da quando avevo 12 anni e pianto, a volte, per la stessa ragione. Cosa che lui non avrebbe mai potuto fare, nemmeno se si fosse impegnato con tutto se stesso. E ho riso. Mi sono sentita benedetta, allora… e continuo a evocare quella scena nei momenti difficili. Mi aiuta a passarci in mezzo.

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