Siccome casa mia è micro, spesso, io e una delle mie figlie condividiamo spazi. La piccola stava facendo lezione di didattica a distanza, credo fosse di scienze, io preparavo il lavoro per i miei alunni.

Lei mi ha chiesto: “Se non metto le cuffie ti disturbo?”.

“No” le ho risposto, erano appena le otto e aveva ancora gli occhi da sonno e il rischio era che si addormentasse sullo schermo.

La professoressa ha fatto l’appello, qualcuno aveva la telecamera oscurata ma lei non li ha sgridati, gli ha detto semplicemente: “Mi spiace non vedervi” e dopo quelle parole, dal suo tono di voce e dai saluti ho capito che alcuni di loro si sono “mostrati”.

Ho continuato a lavorare al computer ma non riuscivo a concentrarmi, la sentivo che chiedeva ai ragazzi chi non aveva la sufficienza e doveva essere interrogato.

Una ragazza con una voce flebile ha detto: “Io prof!”.

“Bene, ti sei preparata?”.

La compagna di mia figlia ha balbettato un no, a quel punto la professoressa le ha detto: “Lo sai che se non ti fai interrogare avrai il debito?”.

Silenzio. Allora la professoressa ha continuato: “Va bene, voglio che tu sappia che io sono a tua disposizione, quando vorrai , io sono qui, pronta a sentirti”.

La ragazza ha detto un sì piuttosto flebile e io mi sono commossa.

Credo sia proprio questa la scuola di cui abbiamo bisogno, docenti che le tentano tutte per far restare dentro i nostri ragazzi. L’obiettivo non è quello di tagliare fuori ma di educare, l’obiettivo è quello di portarli verso la cultura che è un contenitore emotivo ma anche sociale.

A volte intorno ai ragazzi e alle ragazze del nostro Paese non ci si pongono domande se non legate alla meritocrazia, per il resto è il buio. Nessuno mi toglie dalla testa che quello a cui diamo il nome di “impegno” spesso corrisponda alla situazione economica e sociale delle famiglie a cui i nostri ragazzi appartengono.

Fatevi un giro in un liceo classico o scientifico delle nostre città e vi accorgereste subito che questa è una semplice e triste verità. Se ci sono dei ragazzi di “colore” passatemi il termine, spesso, sono stati adottati o di terza e quarta generazione. Saranno meno meritevoli? Per non parlare di quelli in povertà, persi per strada.

È che non dovremmo permetterlo e desiderare una SCUOLA più giusta.

Sarebbe stato facilissimo per quella professoressa dare un bel quattro, sarebbe stato più semplice ma non l’ha fatto. Immagino si sarà chiesta il perché di quella voce flebile, il perché quella ragazza non studia come dovrebbe o forse si impegna ma non “rende”, si sarà posta delle domande intorno alla sua adolescenza e alla sua storia.

Quella professoressa ha fatto il suo mestiere, ha tenuto dentro alla Scuola quella ragazza, le ha dato una possibilità emotiva e sociale, le ha detto: io sono qui per te e tu non sei un numero fra tanti.

E una Scuola che non punisce, non compete, non lascia indietro ma recupera è una Scuola che resiste al tempo e agli inganni.

Gli inganni di una società classista.

Penny

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