Ieri abbiamo avuto l’ultimo collegamento con i bambini. Detto tra noi, non ne potevo più e neanche loro, tanto è vero che ogni tre per due, appena percepivano che ci si avvicinava ai saluti dicevano: “Ciao, ciao, ciao, ciao…”

“No, aspettate non è ancora il momento, non buttate giù, non abbiamo finito!” gli abbiamo detto e per un po’ li abbiamo trattenuti, ma appena la mia collega ha esclamato: “Allora ci salutiamo” in men che non si dica erano spariti!

Oggi ci salutiamo per davvero, in una piazzetta del centro storico, muniti di mascherine, a distanza ma in cerchio.

Non sarà come farlo a scuola e non sarà come prima quando li potevamo spupazzare sporchi di sudore e moccico, ma non ci sarà lo schermo e questa è già una grande cosa.

Ci saranno gli occhi e i corpi e potremmo vedere quanto sono cresciuti e ringraziarli per la pazienza che hanno avuto nel seguirci in questo modo di fare scuola delirante.

In questi giorni di voti, confrontandomi con alcune colleghe e colleghi ( fuori e dentro alla mia scuola) ho sentito discorsi allucinogeni del tipo: “Non possiamo dare a tutti lo stesso voto perché ci sono bambini che si sono impegnati, hanno mandato i compiti, altri spegnevano la telecamera, facevano finta che la connessione sparisse…” e così sono fioccati dei cinque. Dei 5 a bambini che hanno dai sei ai dieci anni!

A volte il mondo non è in bolla e mi domando perché un insegnante non si senta “dentro”a quel 5 e non si domandi se il fallimento non sia il suo.

Mi chiedo perché il giudizio sul bambino finisca sempre dentro al contenitore dell’impegno, come se fosse la misura di tutto e non ci sia altro da andare a guardare.

Rimango allibita e sconcertata di fronte alla scaletta dei voti che misura l’infanzia e il suo procedere. A maggior ragione in questa situazione assurda.

Comunque, a mio parere, se ci sono delle eroine in questa triste storia sono le madri, sì, parlo proprio a te, a te che mi stai leggendo, che hai cercato di essere sul pezzo, a volte ci sei riuscita, a volte, meno.

A te che cercavi di stare al passo, di scaricare, caricare, spingere, affinché, la giornata non finisse nel peggiore dei modi.

A te che hai detto: “Chiedilo a tuo padre” e ti sei sentita rispondere “lui sta lavorando, lui è nello studio…”.

A te che porti sulle spalle il peso dei giorni e anche di questa scuola maledetta che non sa di niente.

A te che ti sei domandata: “Farò bene, farò male?!, a te che nella fragilità di tuo figlio hai visto la tua. A te che ti sei sentita in colpa per aver sclerato, promettendo ogni sera di essere una madre migliore.

Parlo proprio a te, che ci sei sempre stata dietro a quello schermo, ad accendere e spegnere, ad ascoltare magari i discorsi di una maestra o una prof. che non condividevi, ma sei stata zitta.

A te che ti sei commossa e in quel poco tempo in cui tuo figlio era davanti allo schermo, hai cercato di lavorare e non dimenticare che non sei solo una madre ma anche una donna.

I potenti lassù possono dire quello che vogliono, ma io ero quella dall’altra parte dello schermo e vedevo le mie madri, le madri dei miei bambini e sapevo che le mancanze erano tutte mie, nostre, delle istituzioni.

Si può davvero dire tutto, che la scuola non sia un parcheggio, non sia un baby-sitting, giusto giustissimo, la scuola è luogo d’apprendimento ma ha anche una funzione sociale in modo particolare per le donne. Sono loro ad essere sacrificate.

Il governo lo sa bene, perché se la SCUOLA, nonostante la didattica a distanza, è rimasta in piedi è grazie alle madri e non dovrebbe accadere.

Non dovrebbe accadere che una donna debba scegliere se stare dietro ai compiti di suo figlio o al suo lavoro. In che condizione ci hanno costrette?

Conosciamo il peso dell’indipendenza economica femminile all’interno delle relazioni tra uomini e donne, il peso sociale, sappiamo quanto sia importante per noi e per gli equilibri emotivi.

Quindi, non smettiamo di lottare affinché la scuola sia al centro dell’agenda politica, ritorni ad esplicare la sua funzione e non si appoggi sul femminile per sopperire alla mancanza di un servizio essenziale.

Dobbiamo dirlo ad alta voce che, nel prossimo futuro, non siamo più disposte a conciliare.

Per il resto, lo so che vale poco, ma come insegnante ( e credo molte con me) vi siamo grate per aver tenuto in piedi la scuola.

Volevo farvi sapere che non siete state invisibili, noi vi abbiamo visto.

Penny

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