Mi chiama mia figlia. Ha la voce incrinata, è giù. Mi basta il ciao per capirlo.

“Ti viene da piangere?” Le chiedo.

“No no, cosa dici” mi risponde, dopo di che si sfoga.

Ha o suoi problemi, la mia ragazza come tutti le ragazze che si Iniziano a fare domande intorno a se stesse. Non ve li sto a raccontare, perché riguardano lei, io sono solo il luogo dove li deposita sapendo che verranno custoditi.

Quando succede, quando succede che lei sia triste ora so cosa fare.

Esistono due parole magiche che funzionano sempre e che immediatamente ti avvicinano al cuore dell’altro.

“Ti capisco”, le dico, anche se, a volte, non la capisco Vorrei prenderla per le spalle scrollarla e dirle: “Ma non riesci a vedere la bella persona che sei?”.

Ma non lo faccio, deglutiscono, formulo solo quelle due parole. Perché il dolore, la tristezza, la sofferenza ha solo bisogno di essere compresa.

Non lo vorremmo anche noi per noi stessi. Non abbiamo bisogno anche noi di qualcuno che ogni tanto ci dica: “ti capisco” e permetta a quella sofferenza di esistere e la legittima.

“Non sei matta” aggiungo “tutti abbiamo momenti in cui ci sentiamo giù, succederà spesso nella tua vita, succederà sempre, fa parte dell’esistenza”.

Ed è lì che il tono cambia e la voce torna normale.

“Sì, infatti, lo so” mi risponde.

Fino a quando le mie figlie non impareranno a farlo da sole di comprendersi e accettare i propri momenti bui, io sarò qui a ricordarle che negare non serve a nulla.

“Grazie mami” mi ha scritto dopo un po’.

La verità è che non ho fatto niente, non le ho consigliato niente, non ho trovato risposte, le ho solo detto: “Ti capisco”.

Ma, a quanto pare, è bastato e credo basterebbe a tutti avere persone vicino che ci divano ogni tanto: ” Ti capisco”.

Penny

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