I passi delle donne sfrecciano dentro al tempo.
Sono passi piccoli, alcuni. Altri da gigante.
Sono orme sulla sabbia, dietro ai figli.
Attraversano la città e i luoghi.
Ritornano su stessi, se è il caso.
Altri lasciano indietro con coraggio.
Alcuni sono lievi, hanno paura di intralciare.
I più arrancano sapendo che la montagna è di vetro. Salgono e discendono con le ossa rotte.
I passi della donne non sono quasi mai lenti, spesso, sono stanchi.
Rincorrono qualcosa: il lavoro, un uomo, un padre, una madre, un figlio. E si sbagliano. Quando se ne accorgono, spesso, il tempo che resta è minore di quello che è stato ma lo attraversano lo stesso.
A volte se cercano di stare al passo, qualcuno le ricaccia indietro.
I passi delle donne hanno fiducia.
I passi delle donne a volte sono rossi come il sangue che cola dalle loro gambe oppure che sgorga dalle ferite inferte dall’uomo.
Del primo ci hanno insegnato a vergognarci. Del secondo non si vergognano mai.
A volte sono solchi a causa del peso che portano sulle spalle.
In quei solchi ci puoi trovare una conchiglia, una pietrina, un occhio di Santa Lucia, a volte la loro vita che nessuno legge.
I passi delle donne li porta via la marea e non si sa se ce si siano state davvero. Su quella spiaggia, su quel molo, davanti a quell’orizzonte. A tenere in braccio quel bambino. Ad amare quell’uomo. A curare il mondo.
Nessuno le ha viste, nessuno si è accorto.
Restano le conchiglie, le ha raccolte una bambina e se le è messe in tasca di nascosto.
Sono il suo segreto.
Penny
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