Il controllo è la strada più semplice. Inutile negarlo. Il controllo non richiede domande e spazio di incertezza.
È una linea di demarcazione netta, in cui i ragazzi non hanno molta scelta: dentro o fuori.
Il controllore detiene il bastone e vince sempre, la vincita non ha mai a che fare con i ragazzi a cui deve insegnare ma con il nutrirsi del suo potere.
L’adolescenza ha bisogno di stare fuori, cresce anche attraverso la trasgressione. E il controllo ne è la linfa, non la contrasta ma la alimenta.
Noi docenti possiamo ancora scegliere di dare fiducia, anche a costo di perderla; la perdita è parte del gioco della relazione, ma se si raggiunge, se si conquista, possiamo insegnar loro a nuotare e a salvarsi.
È dentro allo spazio della fiducia che può esistere lo spirito critico ed è solo lo spirito critico e la curiosità che muovono il sapere.
Anche il dissenso lo fa, e bisogna essere insegnanti davvero capaci non per contrastarlo ma convertirlo in azioni tenaci e d’apprendimento.
La barca fa e faceva acqua da tutte le parti, invece di tappare buchi, qualcuno dovrebbe pensare a ricostruirla.
Mi è capitata tra le mani una lettera di un docente che richiamava al “decoro” ( ho usato una parolina delicata per i toni in cui era scritta) durante le interrogazioni in DAD. Sembrava un decalogo fascista. Mani visibili. Occhi solo in avanti. Visione di tutta la camera e cose del genere. Mi sono chiesta come non potesse immaginare che i ragazzi avrebbero cercato altri stratagemmi per fregarlo.
Come si può pensare di interessare alla materia attraverso un atteggiamento controllante e controllore di questo tipo!
A volte si ha la percezione che lo scopo non sia quello di tenere dentro alla scuola più ragazzi possibili ma di punire, di stanare e le verifiche diventano la misura di ogni cosa.
Si ha la percezione che la prossima didattica in presenza sia un richiamo alla guerra: ora non mi freghi più, ora non c’è più uno schermo dietro cui proteggersi, appena ti vedo ti sistemo con qualche quattro.
Noi con loro o contro di loro?
Come se la DAD fosse colpa dei ragazzi e non stessero subendo come noi una pandemia, in un periodo dell’esistenza fragile e di crescita con relativi isolamenti, attacchi di panico e crisi d’ansia.
Cosa si stanno perdendo? Chissene frega sono ragazzi e avranno tempo.
Balle.
Li abbiamo lasciati bighellonare tra bar e luoghi di ritrovo senza proteggerli, le biblioteche come la scuola, luoghi sicuri, dove ci sarebbe stato il giusto distanziamento, sono chiusi.
La verità è che la scuola ha solo portato se stessa dietro ad uno schermo. Nessun vero investimento nell’apprendimento differenziato, gruppi di lavoro, scuole aperte il pomeriggio per far studiare i ragazzi a rotazione, fosse stato anche solo un luogo di studio sarebbe stato un luogo sicuro.
Il controllo ci aiuta a negare il negabile, non hai studiato, hai messo i pizzini (dal vocabolario alla parete), ti becchi un quattro meno e la storia finisce lì.
Nessuna domanda sul fatto che lezioni spesso sono decaloghi noiosi e vecchi, nessun interrogativo sulla storia di chi abbiamo davanti, nessuna domanda sul fatto che abbiamo delle responsabilità e che la pandemia porterà a delle conseguenze più o meno disastrose.
La scuola non ha saputo trasformarsi nemmeno questa volta. Alcuni di noi ( e sono molti) tappano buchi con determinazione ma è una lotta disperata e sconsolante che lascia esausti.
Non farsi domande, vuol dire ancora una voglia non cercare gli strumenti per dare risposte, non cercare risorse, lasciare alla “punizione” la risposta dell’istruzione.
E questo, a volte, non riguarda solo alcuni docenti ma persino le famiglie ( quindi non chiamatevi fuori dando solo responsabilità alla scuola) che sono rassicurate dalle strade dritte, senza intoppi, domande e risposte, dei loro figli.
Chi non ce la fa, il sistema lo sputa.
La bella notizia è che possiamo scegliere che docenti e che genitori vogliamo essere. Possiamo scegliere la strada più tortuosa e senza garanzie a cui ci chiama la fiducia.
Possiamo scegliere se vogliamo tenerne alcuni o salvarli tutti, anche i poveri (ops esistono!). Almeno provarci.
Se riponiamo nei nostri ragazzi e ragazze la fiducia, loro sapranno ripagarci.
Lo faranno con le loro storie di scolarizzazione e di inclusione.
Con la costruzione del loro futuro e magari la barca sarà più solida e i buchi non li dovranno tappare i docenti volenterosi, quelli che a mani nude cercano di non far affondare i loro ragazzi, ogni santo giorno.
La scuola ritornerà al centro della nostra comunità e sarà incentivata e motivante per chi la abita. E il controllo sarà solo uno stupido ricordo e una scusa banale dei nostri governi e del nostro tempo per mantenere la solita divisione di classe.
E per non cambiare niente!
Penny
Ps: Grazie a Licia Coppo per lo spunto prezioso.
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/