Sono un paio di weekend che sento l’urgenza vorticosa di camminare. Sono nervosa e mi sento compressa. Cammino perché mi rallentano l’ansia non solo i passi ma anche gli occhi.
I miei occhi hanno bisogno ora come non mai di spazi aperti, orizzonti lontani. Cogliere la bellezza e abbandonare le brutture. Ho bisogno di sentire le gambe faticare e le guance fredde. Farmi risvegliare dal vento e osservare la città dall’alto.
In mezzo alla natura mi sento piccola e quella “piccolitudine” mi riporta al senso, esco da me per rientrare dalla porta giusta.
Cammino perché, spesso, mi incastro. Cammino, e non so farlo da sola, faccio fatica. È sempre stato così, non mi allontano troppo dai luoghi conosciuti, mi fa paura.
Così, a volte, provo a superare me stessa aumentando le distanze, altre accetto le mie angosce. Cerco di stare sempre in equilibrio ma ho imparato che forzarmi non serve a niente, non mi fa diventare più forte, quello che mi serve è sentire cosa sento.
Ad ogni modo, domenica, ho iniziato a camminare sulle alture delle mia città e, a un certo punto, la mia girl grande mi ha chiamato. Sentito che aveva il magone anche se continuava a dirmi che andava tutto bene.
“Raggiungimi” le ho detto “camminiamo, dopo ti prometto che starai meglio”.
“Sei troppo lontana” mi ha risposto “e poi ho delle cose da fare”.
“Fai attendere quelle cose. Torno indietro e ti aspetto”.
Così, mi sono buttata giù a rotta di collo e abbiamo ricominciato la salita insieme. Piano piano, per prenderci il tempo mentre parlava ansimando. Ci siamo fermate quando ha iniziato a piangere.
Non avevo nemmeno una risposta per lei, non sapevo davvero cosa consigliarle. Le ho solo detto di non prendere decisioni, a volte, non c’è niente da fare se non stare dentro alle incertezze.
Abbiamo continuato a camminare, ogni tanto ci fermavamo: “Guarda il panorama, guarda com’è bello!” le dicevo.
Lei guardava, si asciugava la faccia e accennava un sorriso.
Le lacrime, piano piano, si sono asciugate dentro ai passi e si sono asciugate anche le preoccupazioni che hanno trovato una nuova dimensione. Si sono fatte piccole come noi in mezzo alle colline. Sembravano meno spaventose.
Alaska, la nostra cana, ci procedeva, si concedeva la libertà, ha attraversato tutte le pozzanghere, in un paio ci si é sdraiata con soddisfazione. È stato bello vederla.
“Quando ci è mai stato concesso di sporcarci alle noi bambine? Alle noi ragazze? Alle noi donne?”.
Ci siamo mangiate un panino buonissimo e una fettona di crostata, sedute su un prato, il mare davanti, lo spazio immenso dell’aria. Il sole in pieno viso.
Un’altra cosa che ho capito a quasi cinquant’anni è che io non mi muovo per dimagrire ed essere figa, mi muovo anche per potermi godere il cibo, per poter mangiare cose buone e non subire restrizioni o condizionamenti. Mi muovo per saziarmi.
Siamo tornate indietro il suo viso era un altro, il mio pure, ero sicura che le rughe si fossero addormentate. Ci siamo buttate giù per le crose.
“Sei contenta di essere venuta?” le ho chiesto quando eravamo arrivate quasi a casa.
“Felicissima, mi hai salvato la giornata!” mi ha risposto e mi ha abbracciato stretta. I prossimi sono 20 anni, ho pensato.
Immagino sappiate come posso essermi sentita. Eppure so bene che i figli non si salvano, non è nostro compito o nostra responsabilità. Ci vuol tanto se riusciamo a salvare noi stesse.
So, però, che abbiamo un grande onore: poterci essere e camminare insieme a loro quando ce lo chiedono, anche se non abbiamo risposte. In modo che possano farlo da soli e da sole.
Che poi “Camminare” è una bella risposta.
Penny
Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo, illustrato da mia figlia. In uscita a giugno un libro di letteratura per l’infanzia.
http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/