Lo studio non basta, non basta per avere un futuro. La pandemia ha reso il lavoro ancora più precario, il posto “fisso” sembra appartenere ad un’altra era geologica.

Quel “Se ti impegni ce la farai” non è più credibile.

Se prima, sulla riuscita dei nostri alunni c’era già molta incertezza, grazie anche al modello sociale e scolastico in essere, la pandemia si è mangiata il loro futuro in un sol boccone.

Lo studio non basta, loro in questi due anni lo hanno vissuto in prima persona, l’esperienza e le emozioni non possono essere più considerate dalla scuola e dai docenti (non tutti), qualcosa di scisso dal sapere disciplinare. Smettiamola di pensare che sapere la materia salvi i nostri ragazzi: non è così.

Anche se tra i ragazzi non si fa la conta dei morti per covid, molti li abbiamo già persi per strada, altri li perderemo e i più non sapranno come crederci e se crederci ancora.

Ma, attenzione, i ragazzi e le ragazze più fragili sono i nostri. È ripreso l’abbandono scolastico anche alla primaria che non si vedeva da anni!

Non possiamo più credere in un tipo di insegnamento vetusto e settario; la pandemia ci ha insegnato: se i ragazzi non stanno bene, se qualcosa intorno a loro non funziona, se la loro storia subisce dolorosi eventi -la perdita del lavoro dei genitori, la povertà, la tristezza, la privazione sociale- non riescono a studiare e ad apprendere.

Si chiudono e, a volte, spariscono per sempre ( i suicidi tra i giovani sono aumentati del 20%), a volte si interrompono e non sanno come procedere.

Nella mia esperienza scolastica non ricordo quei professori che usavano il loro potere a piacimento con lo scopo di prendermi in fallo, ricordo una professoressa di storia che mi ha fatto amare la materia, instaurando prima di tutto con noi un rapporto di fiducia.

Nel precedente articolo ho già espresso che i nostri figli si fidano quando i genitori mettono in campo azioni di “verità” e di fiducia reciproca, lo stesso vale per i docenti e il mondo della scuola.

Sembra assurdo pensare, dopo quello che è successo, che un docente possa semplicemente aprire un libro e continuare a spiegare, con o senza schermo, senza tener conto del contesto, del sentire, della relazione, dei dati di realtà.

Ed è dentro a questo meccanismo che i ragazzi e le ragazze si sentono traditi; il mondo cambia, si interroga, si arresta e noi facciamo come nulla fosse? La verifica a fine mese e il voto relativo è lo spartiacque tra il successo e l’insuccesso scolastico?

Non si tratta di giustificarli ma di interessarli alla conoscenza. Di interessarli, più della negligenza e dell’abbandono.

Si tratta di farli sentire comunità. Parte di un progetto. Si tratta di un’idea che attraversi l’incertezza dell’adolescenza, superi la chiusura e la solitudine.

Se un adulto “detentore di sapere” non pone fiducia nei ragazzi loro non potranno fidarsi del sistema scolastico e penseranno di essere incapaci.

A quel punto la risposta sarà solo una: si allontaneranno, la scelta del come è varia: la trasgressione, le dipendenze, l’isolamento.

Mi ha sconcertato leggere che Ministero e provveditorati non hanno dati aggiornati sulla dispersione e sono addirittura rimasti a 4 anni fa! Ma che c’è un’impennata di segnalazioni alle procure minorili dopo un anno di Covid!

Come mai abbiamo una scuola che valuta con le Prove invalsi, spendendo milioni, e non ha dati aggiornati sulla dispersione? Ogni genitore di senso ( e ogni docente di senso) sa la fatica che ha fatto in questi due anni per “tenere” agganciati alla scuola i propri figli-ragazzi.

Come mai non si spendono soldi per fare in modo che in ogni scuola ci siano: uno psicologo/a, un infermiere/a e un sessuologo/a ? Specialisti a cui sia le famiglie che i ragazzi possano affidarsi?

Mia figlia mi ha detto che alcuni suoi compagni sono spariti dallo schermo, semplicemente da un giorno all’altro non si sono più visti. Mi chiedo se la storia di sparizione dalla scuola diventerà una normalità.

Poi, quello che succede lo sappiamo tutti, chi avrà i mezzi economici cercherà scuole private, con classi di pochi alunni, il proprio ragazzo o la propria ragazza, possa recuperare il tempo perduto; gli altri e sono molti, usciranno dal sistema, dal futuro e faranno parte di quel nutrito numero di giovani disoccupati che già colmano il nostro paese.

Chi vive la scuola in un certo modo sapeva già-prima della pandemia- che il rigore, la rigidità, i voti, la carota e il bastone, l’ottusità di non uscire dalla propria materia didattica, non avrebbero tenuto dentro i nostri ragazzi, a maggior ragione oggi, dopo questi due anni.

Chi vive la scuola in un certo modo sa che non saranno i castighi a muovere i propri ragazzi, neanche i più piccoli e nemmeno la paura li porterà a studiare con consapevolezza e interesse, perché le informazione apprese in certi contesti vengono allontanate in fretta. Magari avremmo alcuni alunni che alimenteranno il nostro ego rispondendo a macchinetta ma non avremmo lasciato niente o molto poco in termini di umanità e crescita.

Chi vive la scuola in un certo modo sa che i ragazzi e le ragazze per poter apprendere hanno bisogno di fiducia e che questa fiducia potrà essere tradita e che talvolta gli alunni tenderanno ad usare trucchetti ( gli stessi che tra l’altro usavamo noi) e ci fregheranno, eppure se abbiamo costruito con loro una relazione, non avranno mai voglia di andarsene ma di restare.

E credo che questo sia il nostro scopo, lo scopo di qualsiasi docente: tenere i nostri ragazzi e le nostre ragazze il più possibile dentro.

Solo attraverso una “sana” istruzione potremmo formare persone libere: economicamente, socialmente ed emotivamente.

E come società adulta è l’unica possibilità che abbiamo per avere un briciolo di futuro.

E non far sparire un’intera generazione.

Penny ❤️

Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. Il 22 giugno esce per Mondadori: “La scuola è di tutti”.

https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/

http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/

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