Si dice che fare i genitori sia un mestiere, per me non è così, ma chi ha dei figli sa che quest’ esperienza condiziona in modo determinante tutte le altre.
O forse è il contrario, ciò che viviamo condiziona il nostro essere madri e padri o probabilmente sono vere entrambe.
Di fatto, nulla è così incerto, precario, in movimento, come l’esperienza dell’essere genitori. Niente di meno oggettivo. Ognuno di noi porta con sé là propria interpretazione della storia famigliare vissuta.
Nessuno di noi è in grado di scindere davvero se stesso dall’idea che ci facciamo dei nostri figli, eppure, lo spazio sano della genitorialità si trova proprio nei tentativi di allontanamento continui dal culto della perfezione.
I figli sono lo specchio della nostra fallibilità, della nostra caducità, della nostra incompiutezza. Lo specchio dell’esistenza.
Nulla come i figli è in grado di metterci in crisi, di farci oscillare e precipitare negli abissi. Loro conoscono la nostra storia e la leggono da un altro punto di vista. Ci guardano, ci giudicano, ci amano come sono capaci.
Resistere alle richieste sociali che vogliono i nostri figli perfetti, questo sì che è un lavoro, doveroso ma sfiancante, eppure, il nostro essere madri e padri non può che passare da questo sentiero.
Così, tutte le volte che ci deludono, che li avremmo immaginati diversi, che subiscono sconfitte o frustrazioni, che non sono stati all’altezza, abbiamo il dovere di resistere e tracciare una linea di demarcazione tra noi e loro; dobbiamo pensare che valgano al di là del risultato raggiunto e del successo ottenuto.
Educarli alla precarietà delle vittorie, è forse uno dei compiti più difficili, perché vuol dire educare noi stessi all’accettazione.
È complicato accettare che i nostri figli non siano come li abbiamo desiderati e immaginati, è complicato accettare che interrompano, cambino, trasformino la strada che abbiamo costruito per loro.
Spesso, come insegnante mi è capitato di trovarmi di fronte a genitori che si frantumano per una gara persa, una verifica andata male, per una rimandatura, per la perdita di un anno, per un cambio di rotta dell’Università…genitori che si imbarazzano per i propri figli o che li giustificano, imprecando contro il destino o contro gli altri. O addirittura che si sostituiscono e intervengo non lasciando ai figli spazio di manovra e crescita dentro al fallimento.
Spesso sono stata una di quelle madri, almeno fino a quando non ho permesso a me stessa di essere indipendente da loro e ho iniziato a costruire la mia esistenza intorno ai miei desideri.
La verità è che la loro imperfezione ci parla della nostra ed è questo che ci fa tanta paura, ci fa paura accettare che possiamo perderli, possiamo deluderli come loro ci deludono, possiamo sbagliare.
Ci fa paura non rispondere alle aspettative sociali e pensiamo che se i nostri figli non saranno abbastanza prestazionali non ce la faranno.
I figli, invece, hanno bisogno di genitori difettosi, madri e padri in grado di conoscere i propri limiti e prendersene cura facendone qualcosa di buono.
Hanno bisogno di adulti capaci di accettare se stessi e la propria fallibilità, capaci di sbagliare e rimediare se possibile.
Hanno bisogno di avere accanto esempi di caducità e di incompiutezza per potersi sollevare dal culto della perfezione, hanno bisogno di sapere che qualunque cosa siano e vogliano diventare, noi troveremo il modo di essere gli adulti che li amano.
I figli non ci devono niente, proprio niente, men che meno essere come noi li desideriamo.
Penny
Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. Il 22 giugno esce per Mondadori: “La scuola è di tutti”.
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/
http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/