Possiamo dire quello che vogliamo ma se gli e le insegnanti non sono messi in condizione di lavorare bene, di sentirsi bene, saranno i nostri figli a rimetterci.

Possiamo attaccarli, dir loro che sono dei privilegiati, possiamo mettere becco nella didattica, possiamo criticarli, infangarli, essere frustrati per come vedono i nostri pargoli, ma se non troviamo una strada per dialogare con loro, per dare fiducia, chi ci rimetterà saranno proprio loro: i nostri figli.

Gli insegnanti, per occuparsi di didattica e di educazione, per formarsi seguendo gli interessi e le attitudini individuali, avrebbero bisogno di pulirsi di tutti gli adempimenti burocratici che li logorano. Avrebbero bisogno di arrivare a scuola e trovare il materiale necessario, i libri ad esempio.

Avrebbero bisogno di classi meno numerose per concentrarsi bene su ogni alunno e alunna, perché, insegnare a 23,24,27 alunni, dedicando la stessa attenzione ad ognuno di loro, non essendo solo meri fornitori di informazioni, è praticamente impossibile.

Avrebbero bisogno di compresenze per poter lavorare insieme, sostenersi e soprattutto, sostenere quegli alunni che fanno fatica.

Quindi, tutti, dovremmo avere il desiderio che la scuola e i suoi insegnanti fossero trattati con cura. E, attenzione, il mio non è un post in difesa a priori della categoria, chi mi conosce sa come la penso.

Ma quello su cui vorrei riflettere è che, spesso, gli insegnanti per rispondere a una richiesta sociale di prestazione sempre più alta, procedono con le risorse che hanno, a volte alzando l’asticella lasciando indietro i più fragili. È questo lo scotto che stiamo pagando tutti.

Questo, perché spesso, noi genitori, invadiamo lo spazio delle scelte didattiche, siamo iper protettivi, siamo schiacciati quanto gli insegnanti dalla richiesta di prestazione e, in una società precaria come la nostra, abbiamo paura che i nostri figli rimangano indietro.

Così, controlliamo i loro quaderni e il registro, confrontiamo il lavoro dei nostri figli con quello dei loro compagni, in un crescendo di ansia e preoccupazione, sentendoci genitori incapaci, se non rispondono alle aspettative e se prendono un brutto voto.

E, allora, facciamo, la cosa più semplice, ci arrabbiamo con gli insegnanti. E, magari, un po’ abbiamo anche ragione, perché, la scuola non era il luogo che avevamo immaginato, quella che cerca di tenere dentro tutti, non omologando, ma sviluppando le potenzialità di ognuno.

Ma quella rabbia, quelle incursioni didattiche, quel controllo, non servono a nessuno, anzi, producono un corto circuito e ci rimettiamo tutti, i primi a farlo, però, sono i nostri figli e le nostre figlie, schiacciati dentro a un tritacarne di accuse vicendevoli.

Avete ragione, quando pensate che ci sono lavori più pesanti e usuranti, che dovrebbero leccarsi le dita di avere lo stipendio fisso (come se dietro non ci fosse una laurea, il superamento di un concorso, magari pure delle specializzazioni), ma gli insegnanti hanno a che fare con materia umana e se non li mettiamo in condizioni di lavorare seguendo i tempi dei nostri figli e non delle pressioni sociali e nostre, sarà un disastro.

La verità è che dovremmo entrambi convergere le energie verso un obiettivo comune, dovremmo pretendere dai governi una scuola più equa, una scuola capace di rispettare i tempi di tutti gli agenti che la abitano: adulti e ragazzi.

Da madre e insegnante il mio augurio per quest’anno è quello di provare a fidarsi, gli uni degli altri, lottare insieme perché la scuola diventi una vera comunità di cura.

Dopo venticinque anni di insegnamento e sedici anni di scuola dell’obbligo vissuta come madre, mi è sempre più chiaro che dovremmo stare dalla stessa parte.

Dovremmo ricordarci che se la scuola continuerà ad essere un campo di battaglia tra gli insegnanti e le famiglie, a rimanere a terra saranno i figli di tutti.

In poche parole: il nostro futuro.

Buon anno. Cercate di stare bene.

Penny❤️

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