Non c’è niente che mi faccia andare in crisi come la sofferenza delle mie figlie. Niente che mi destabilizzi di più.

L’istinto è quello di armarmi di spada e difenderle dal mondo, di intervenire, di risolvere e di trovare soluzioni immediate.

L’istinto è quello di affrettare il passo, superare l’ostacolo velocemente e passare oltre. Quante volte nella vita quando stavamo male ci hanno detto: “Ora non ci pensare su!”. E giù distrazioni.

Quante volte abbiamo coperto le emozioni, le abbiamo liquidate in fretta, le abbiamo abbandonate pensando che potessero dimenticarsi di noi. Quante volte sono diventate polvere sotto al tappeto?

Quanto mi sono separata ho promesso: non insegnerò alle mie figlie a mentirsi per non soffrire e non far soffrire altri, che poi si soffre tutti lo stesso, e di più.

Nella mia casa ormai sono due settimane che si é accampata la tristezza.

Sono le mie figlie che mi stanno ricordando come attraversarla, negli anni del dolore mi hanno guardato mentre la affrontavo, ho cercato sempre di spiegargli che era meglio starci dentro, darle ascolto, invece di sfuggirla.

La psicologa mi diceva: “Racconta semplice te la verità” e io cercavo per loro parole giuste.

Ma un conto è la mia di sofferenza, un conto è quella delle mie figlie, stare nella loro è complicatissimo, non c’è nulla che una madre desideri più che sollevare i propri figli, proteggerli e farsi scudo.

“Lasciami tempo” mi ha detto in questi giorni ogni volta che sentivo male al cuore nel vedere una delle due in sofferenza e affrettavo il passo. “Mamma proprio tu dici: ora basta!” mi redarguiva l’altra, così non ho potuto far altro che stare.

Stare dentro alla sofferenza che sta attraversando, farla accomodare in casa nostra, tenerla tra le braccia la notte, incastrare i suoi piedi gelati nei miei, stringerla a me mentre mette la stella sull’albero di Natale come tutti gli anni e piange. Darle il tempo di sostare per poi andarsene davvero.

Non so quando ci abbandonerà, ma so che non c’è altro da fare, nient’altro che permettere la sofferenza nostra e dei figli se vogliamo insegnargli ad affrontare la vita.

Solo così saranno più forti: accettando il dolore quando arriva e fare esperienza di superamento, non di negazione. E non importa se è quasi Natale, non importa.

Casa nostra è illuminata a festa, io e la grande abbiamo addobbato con delle lucine finestre e le grandi travi di legno, abbiamo fatto anche la parte della piccola, raccogliamo così la sofferenza e ce ne prendiamo cura, come sa fare una famiglia.

La cui storia non percorre mai un’unica gioiosa narrazione. In cui la felicità ha bisogno anche della tristezza per essere riconosciuta.

In cui ci si permette di sentire, anche se fa un po’ male, anche se è Natale e il mondo ti chiede di essere felice e di raccontare continuamente quella felicità.

Non è vero che le nostre scelte verso la verità rendono infelici i figli, quello che gli fa male è non permettere la tristezza quando arriva, quello che gli fa male è la storia unica della famiglia felice ad ogni costo.

In poche parole narrando quella storia gli chiediamo di mostrare al mondo che come genitori non abbiamo fallito. Invece il fallimento è la miglior possibilità di apprendimento.

Vi racconto la mia storia perché sappiate accogliere la vostra. Perché è questo che fa un genitore, racconta la verità ai figli per farli crescere.

In casa mia è accampata la tristezza, ce ne stiamo prendendo cura. Le famiglie non sono mai tutte felici e neppure i figli lo sono.

Nemmeno a Natale.

Penny ❤️

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2 comments on “Davanti alla sofferenza delle mie figlie, io barcollo.”

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