L’altra sera sono stato invitata ad una cena. Colleghi di lavoro del mio compagno.
Tutti architetti. Mi sarei sparata un colpo, invece è stata una piacevole serata.
Una bella casa in centro storico di Genova. Tante scale. Davvero tante.
Sono arrivata su rantolando.
Poi, come succede, in cima, la vista dai terrazzini ti ripaga di tutto.
Tante coppie, qualche persona sola. Ad un certo punto arrivano due uomini. Uno più alto e più giovane, l’altro più bassetto e più grande, ho scoperto poi che va per i 60 e se li porta benissimo.
Un sorriso piazzato in faccia.
Ci stringiamo la mano. Capisco subito che sono una coppia. Lo intuisco dagli sguardi, da come si muovono, da come si cercano.
Non si vedono in giro tante coppie così.
Al ristorante, spesso, le donne stanno con le donne e gli uomini con gli uomini, con una linea di demarcazione immaginaria.
I due stavano vicini.
Chiacchiero con uno e con l’altro, ma sono loro che attirano la mia attenzione.
Parlano dei loro cani, due bassotti e siccome sto scrivendo un romanzo dove c’è un coppia omosessuale che ha un bassotto narcolettico, non posso che avvicinarmi e fare domande?.
Mi hanno raccontato come si sono conosciuti. Senza reticenza. Si sono aspettati. Per uno è stato il colpo di fulmine.
Il più giovane si lamentava di essere invecchiato e l’altro gli diceva:” Tu mi piaci sempre”.
Si sono guardati. E si sorridevano. Era amore quello. Nessun dubbio che avesse diritto di esistere.
La stessa settimana mi è capitata un’altra serata in cui una serie di donne si lamentavano dei mariti, raccontavano di problemi e stanchezza, sessualità noiosa. Una ha detto: “Non lo sopporto più”.
L’altra: “Succede a tutte, bisogna reggere” e l’hanno chiusa così.
Eppure erano coniugati nel modo giusto, riconosciuti dal vincolo sacro del matrimonio. Riconosciuti a livello sociale.
Famiglie tradizionali, in cui l’amore è concesso.
Io non so cosa sia l’amore. Non ho certezze. Ma lo sento e lo riconosco quando lo vedo.
E secondo me anche voi.
Ha bisogno di sincerità, questo è certo.
La verità è che ognuno lo coniuga a suo modo. Si trova nella vita. Nelle parole. Nei gesti per l’altro.
È democratico. È un diritto per tutti, così come lo è l’espressione di sé e del proprio sentire.
Perché il genere è quello sentito. E non c’è altro da dire.
Le regole su chi dobbiamo amare, come si deve amare, sono prigioni dentro cui inserire le nostre paure.
L’amore non ha paura di essere visto e sentito. Di scegliere.
Ha coraggio.
Anche quello per se stessi.
Ed è una scelta così individuale e intima in cui nessuno ha diritto di metterci becco.
E, poi, i nostri figli, lo respirano, lo imparano attraverso di noi.
Così, dobbiamo difenderlo. E dire la verità.
Difendere il diritto all’amore, qualunque esso sia.
Io non ho dubbi. Su questo non ne ho.
Penny
PS: oggi a Genova c’è il Pride. Siateci?