Posteggio la moto nel cortiletto del liceo. E tutte le volte che lo faccio, la girl mi dice: “Non si può, lo vedi cosa c’è scritto? Riservato al Colombo”.
E tutte le volte le rispondo che ho chiesto ai bidelli e mi hanno risposto che posso. Ma lei continua. Ha paura della sua ombra, quella?.
Comunque, scendiamo, metto i caschi dentro alla sella e n bauletto, mentre continua a brontolare. Ha paura costantemente che le faccia fare delle figuracce. Che abbia ragione??
Oggi io e la mia girl rimandata abbiamo incontrato la prof di greco. Alla fine dell’anno le ho chiesto se, insieme a quella di latino, potessimo fare un incontro per cercare di non far fallire la rimandatura, visto che l’esame di settembre, è stato fine a se stesso, non c’è mai stato un vero recupero.
La girl non si era nemmeno portata un quaderno e la penna per scrivere?. Prima di entrare le ho dato la mia agenda e le ho detto: “Almeno fai finta di essere interessata”.
Così ci siamo sedute, noi tre in biblioteca. La prof di latino era impegnata negli esami e ha lasciato mandato.
Il liceo era vuoto, non un’anima viva. Mi sono chiesta perché non faccio come tutti gli altri genitori e lascio andare le cose, perché insisto. Questa mania di capire, andare a fondo, non accontentarmi della promozione a settembre se poi il problema rimane.
Forse perché non posso far prendere alla girl milioni di ripetizioni o assoldare qualcuno che se ne occupi e così mi sembra di poterla aiutare un po’. Forse, perché, nonostante tutto credo e continuo a sperare che il connubio genitori-insegnanti possa vincere sul resto.
Comunque, seduta a quella cattedra, mi sentivo tanto una scolara anch’io. Un po’ sotto esame.
Il rischio lo sappiamo qual è, quando loro falliscono a noi crolla la terra sotto ai piedi e ci sentiamo responsabili. Così, allo stesso modo i loro successi sono i nostri, la loro vita diventa la nostra confondendo aspettative ed emozioni. Se sono performativi crediamo di aver assolto il nostro compito al meglio. Ma non sempre è così.
I ragazzi falliscono, hanno idee proprie, per fortuna, caratteristiche che non ci corrispondono. A volte i successi sono solo successi, e va bene, altre sono disfatte dal punto di vista emotivo e creano persone infelici. Non si può mettere a posto tutto.
Comunque la prof. si è rivolta alla girl e le ha chiesto: “Allora cosa hai pensato?”.
Così, le ho lasciate parlare, il loro linguaggio era quasi intimo. Lei sapeva bene cosa dire, quali erano le mancanze, raccontare le fatiche e le preoccupazioni. Mi sono sentita di troppo, ma c’ero e ho ascoltato. Però ho pensato: io non c’entro più. È arrivato il momento di lasciare andare. Se la caverà.
La prof ha fatto un discorso importante, le ha detto:” A volte, quando chiacchieri ho la sensazione che tu non riesca a stare nel presente, devi concederti di esserci“.
Avevo gli occhi lucidi e la bocca spalancata.
Poi ha aggiunto: “Tu e anche gli altri lavorate sempre per l’emergenza, e questo serve lì per lì, ma non funziona mai. Devi ragionare sulla lunga percorrenza, non sarà facile e magari all’inizio non saprai tutto e non prenderei voti stratosferici, ma resterà, quel sapere resterà“.
Se non fosse stata la prof di greco, con la sua giacchetta sulle spalle, sarei saltata sulla cattedra e l’avrei sbaciucchiata. Ma lei conosceva quelle lettere antiche e io ero solo una madre di una sua alunna, però, l’avrei sbaciucchiata e basta. Così, per farle capire che eravamo dalla stessa parte.
La girl annuiva e spiegava alla prof come si sentiva. Mi sembrava un’adulta. Ascoltava i suoi consigli, annotava (sulla mia agenda?)
poi ha detto:” Il mio problema è il controllo. Studio tutto e tanto e poi mi perdo”.
E la capivo.
Il problema nostro è il controllo. Femminile intendo. Quello maschile è spesso su di noi. Noi sulle esperienze. Pensiamo di farcela. Pensiamo di poter scalare montagne e lo facciamo, se non che, alla fine, ci accorgiamo che abbiamo scalato la montagna sbagliata! Controlliamo i figli e la vita, a volte. Mettiamo paletti e diamo indicazioni, pure a noi stesse. Se faccio così non sbaglierò…se riesco a fare tutto, la madre, la carriera, la moglie, gli altri intorno a me saranno felici e io pure. Invece, alla fine, magari, nessuno lo è, anche se ci illudiamo che sia così. Perché la verità vera è che niente è davvero controllabile.
La prof, fuori dalla porta, ha dato un bacino alla girl, e poi ha detto:”Anche alla mamma”. E io l’ ho stretta un po’, chissà se l’ha sentito che le ero grata.
Siamo usciti di lì con il programma sottobraccio e delle consapevolezze.
“Ha fatto un discorso importante” ho detto alla mia ragazza.
“Lo so”.
“Devi permetterti di esserci nonostante il dolore che senti e la paura di non farcela. Non tutto dipende da te, ma molto sì. Dai le responsabilità che senti di dover dare, poi procedi”.
Ha annuito e mi ha sorriso. E lo so cosa si chiedeva. Come fa un figlio a crescere sicuro di sé, se uno dei genitori continua a dirgli che sbaglia? Come fa un figlio a elaborare la sofferenza se non trovando strumenti di guarigione come, nel suo caso, assentarsi dal mondo? Non ci sono, non sento.
Alcuni adolescenti si tagliano, altri perdono i capelli, altri sono soli, incapaci di instaurare relazioni, altri affidano agli amici se stessi, altri fanno finta di niente e pagheranno in futuro.
Perché non è la promozione, i voti ottimi o pessimi a dirci se sono felici oppure no.
La sofferenza, soprattutto, la nostra, la percepiscono, la vivono, la sentono, c’è ed esiste e non possiamo fare finta che non sia così.
Possiamo però legittimarla e metterci mano. Insegnare ai nostri figli che possono farne qualcosa di buono.
Certo, se continuiamo a stare male, ad esempio, dentro a rapporti di coppia disastrosi o a vite insoddisfatte, mantenendo “la facciata sociale”, cosa credete impareranno? Che la sofferenza va celata. E troveranno modi per sopravvivere.
Credo sia questo a fare la differenza. Non negare ma affrontare.
Ed è inutile che gli proponiamo soluzioni, gli semplifichiamo la strada e come dice la prof di greco, quella donnina fuori dal tempo, funzionerà lì per lì, ma non servirà a lungo termine.
Quando siamo uscite da scuola e siamo arrivate nel parcheggio le ho detto: “Hai visto? La moto è qui e nessuno mi ha sgridato”.
Non lo avessi mai fatto! Ha continuato a sbrodolarmi la verità sui cartelli di divieto e sulla vita per tutto il percorso fino a casa. O meglio verso alcuni negozi, visto che ha voluto cambiare tutti e dico tutti, i regalini che io e sua sorella le abbiamo fatto??♀️.
La amo. Cosa vi devo dire. Ci vuole molta molta pazienza. Ma lo sapete!
Amo persino le sue storture. E sarò matta, ma, ogni tanto penso, meno male che ci sono. Le storture, intendo.
Finché le vedo, me ne accorgo (impossibile non farlo ?) so che le cose stanno procedendo.
Ciò che è celato dietro alla prestazione, alla “ricerca di perfezione” è garanzia di infelicità, ciò che si vede, imperfetto, storto, così e così, è affrontabile. Sempre.
Ciò che si vede sono i nostri figli. Il resto è ciò che ci raccontiamo per star tranquilli.
Penny
In quello che hai scritto ho letto la conferma di tutti i miei errori, tanti, verso me stessa e quindi verso le mie figlie. Ma li vedo, li riconosco; è un inizio, forse qualche piccolo rimedio lo troverò, senza colpevolizzarmi troppo e consapevole delle grandi capacità delle figlie. E comunque grazie Cinzia Pennati
Cara Paola, tutti facciamo errori, tutti. E, per quanto ci sforziamo il nostro modo di essere ricade sul nostro modo di gestire la maternità. Certo, cercare di essere migliori è importante, ma dobbiamo imparare anche ad essere clementi con noi stesse. Ecco. Bacini ❤️