Non so bene cosa sia la felicità. Non so se sia duratura, se abbia il tempo di un attimo se si sovrapponga a volte alla serenità.

Non so se sia negli sguardi degli altri, nei luoghi che si visitano. So che, a volte, la trovo.

E quando capita che riesco a sentirla e vederla lei si acquieta su di me ed è bello.

Forse perché ho sofferto tanto, non quella sofferenza legata alla malattia, alla paura che la vita ti sfugga di mano, un altro tipo di sofferenza, vicino alla tristezza, all’angoscia.

Forse per questo ora so riconoscerla, è successo, credo per aver stanato il dolore, per avergli dato un nome, averlo definito e aver cercato di superarlo.

Mi capita di essere felice anche lontano dalle mie figlie, loro ci sono in qualche modo, come una vicinanza nella lontananza.

Ieri, mentre camminavo per un sentiero, c’erano le montagne, il sole, il bosco e mi è venuto in mente il mio primo rapporto d’amore importante, lo sapevo che non ero felice, lo sapevo che stavo male, eppure ero determinata nel tenermi quella storia.
Ho detto al mio compagno :”Non so perché lo facevo, ma la paura fottuta di perdere quell’amore sovrastava tutto”.

La stessa cosa, aggiunta di sensi di colpa poi è successa con il mio matrimonio.
Un’abitudine difficile da spezzare.

Ho pensato a mia figlia, ai suoi diciott’anni, al desiderio non tanto che sappia riconoscere la felicità, perché noi la riconosciamo, la sentiamo quando c’è, ma che sappia abbandonare la strada “sicura” dell’infelicità.

Che sappia sempre scegliere se stessa e ciò che la fa stare bene, non la dedizione, non il sacrificio, non quello che gli altri si aspettano da lei.

Perché a me è successo questo, sapere di essere infelice e non riuscire a smarcarsi. L’ultimo pensiero era sempre: “Vabbè ma succede a tutti così, i rapporti di coppia sono sempre faticosi”. E stavo.

È solo attraversando l’oceano del dolore che ho scoperto cosa c’era dall’altra parte e ho permesso alla felicità di entrare.

Dipende da noi? Credo di sì.

Dipende da quello che scegliamo nella nostra esistenza, da quello che mettiamo sul piatto della bilancia, perché lo sappiamo quando non stiamo bene.

Noi lo sappiamo.

Non sappiamo come uscirne e abbiamo paura. In fondo l’infelicità è una sicurezza, è quello che conosciamo.

E, soprattutto, crediamo che mantenendo lo stato delle cose, tutto il sistema regga. Forse succederà, ma a costo di cosa?

Ieri sera, io e il mio compagno, eravamo a tavola non so di cosa stavano parlando. Ogni tanto lo prendo in giro e gli chiedo quando ci sposiamo.

Lui allora risponde:” Quando sarai vecchia”.

E io:”Cacchio! volevo mettermi l’abito bianco”.

“Chiamo l’arcivescovo che ci sposi”.

“L’arcivescovo non lo voglio. Ci sposiamo in comune”.

“Di giovedì, allora, alle 18. Non prima. Chiamiamo solo i ragazzi”.

“Mi sembra una buona idea”.

“Sì, però, poi i miei parenti calabresi? Quelli si offendono” mi ha detto lui.

“E gli amici? Non vuoi dirlo agli amici?” gli ho detto io.

“In effetti!”.

“Mi sono già stancata!” ho esclamato.

“Anch’io” mi ha detto lui.

“Facciamo che non ti voglio sposare”.

“Va bene” mi ha risposto lui.

Ci siamo messi a ridere, ci siamo finiti la nostra cena, abbiamo brindato all’ultima sera di vacanza. Poi, all’improvviso, da una delle vetrate è comparso un giovane cerbiatto, è stato davvero bello e io ho pensato alla libertà.

Ho cercato per una vita di far felici gli altri, di non ferire, di non far soffrire. Ho cercato di mettere un cappello ai sentimenti, credendo di poterli fermare per sempre per poi scoprire che la felicità non ha niente a che fare con ciò che si deve ma con ciò che si è.

La verità è che dobbiamo solo avere la forza di desiderarla questa felicità, e lavorare affinché accada.

Perché accade e poi, grazie a Dio, non si torna più indietro. ♥️

Penny

2 comments on “L’abitudine all’infelicità. Spezzare le catene.”

  1. “Ho cercato per una vita di far felici gli altri, di non ferire, di non far soffrire. Ho cercato di mettere un cappello ai sentimenti, credendo di poterli fermare per sempre per poi scoprire che la felicità non ha niente a che fare con ciò che si deve ma con ciò che si è.”

    Che delicatezza d’animo in questo tuo post.
    È sempre uno stupore ed un piacere leggerti, Penny. Grazie.

    • Grazie mille, chi mi conosce dice che sono un elefante in una cristalleria… Credo abbiano ragione, però, la delicatezza d’animo è bello pensare che mi appartenga. Bacini Penny ❤️

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