Quando una donna muore mi piacerebbe venisse scritto il suo nome, invece, a volte, fai fatica a trovarlo. I titoli per lo più riportano:
Mamma trentottenne muore, mamma uccisa dal compagno ecc…
Una mamma è morta.

E lo so che è importante essere madri, per carità, ma lo sapete come la penso, ritengo che linguaggio sia fondamentale e che la nostra storia continui ad essere una storia di annullamento.

Una donna muore.
Caterina. Maria. Stefania. Giulia, Sara, Lorena…

Dire che muore una mamma è come dare un valore aggiunto a quella morte, e non è giusto.

La nostra vita va difesa a prescindere, va rispettata a prescindere.

Questo è un sotto pensiero che traccia sempre la stessa strada, la stessa direzione, quella della nostra assenza.

Le cose che ascoltiamo, che leggiamo, le cose che ci dicono incidono pesantemente sul nostro essere.

Penso alle immagini piene zeppe di uomini. Penso ai ruoli politici. Economici. Non veniamo legittimate nemmeno quando urliamo il nostro dolore nelle nostre case.

Non dire delle cazzate, sono tutte balle, chi te le ha messe quelle cose nella testa?

Il che vuol dire che l’altro non ti riconosce la capacità di ragionamento e si erge al di sopra di te.

Noi non diciamo mai all’altro: Chi ti ha messo in testa quelle cazzate? Gli diamo dignità, in poche parole lo rispettiamo, anche se dice delle cazzate.

Vorrei che le mie figlie prendessero il mio cognome, quando gliel’ho detto hanno storto il naso.
“Non vuoi più che abbiamo il cognome di papà?” mi hanno chiesto.
“No, ma voglio che abbiate anche il mio”.

Così ho spiegato ad entrambe che io ci sono, esisto e non è per il cognome in sé, di quello non mi interessa, mi interessa certificare la presenza.

Perché è attraverso questi tentativi riusciti di renderci assenti all’interno della Storia che siamo arrivate qui, al maschilismo, al machismo, alla disuguaglianza tra uomini e donne, a non avere nemmeno da morte un nome, ma la descrizione di un ruolo.

Muore una donna.
Questo ci dovrebbe bastare per essere tristi, addolorati, scioccati.

La verità è che provo sempre più urgente esserci, continuare a certificare la presenza nei luoghi di lavoro, nelle relazioni, nello stato di famiglia. Nelle politiche sociali.

Facciamo così fatica a fare qualsiasi passo avanti e appena succede che qualcuna di noi prenda in mano il timone la si insulta e basta.

Lo dico, perché quando noi nelle nostre case, nelle nostre famiglie non riusciamo a ritagliarci uno spazio, a dire la nostra, in poche parole ad essere libere, tanto dipende dall’ imprinting culturale, dipenda dai tentativi di annullamento continui.

E allora?

E allora dobbiamo dare valore alla nostra presenza, avere coraggio e determinare dei cambiamenti all’interno della nostra quotidianità.

Si parte dalle cose piccole.

Sapete che conosco delle donne i cui mariti, ad esempio, non vogliono pagare la donna delle pulizie, li considerano soldi sprecati. E non perché si mettano a riordinare loro la casa, si aspettano che siano le mogli a farlo e dentro al: dobbiamo risparmiare ci infilano un po’ di sessismo.

Questo per dire che qualunque desiderio abbiamo, qualunque pensiero o richiesta, dobbiamo, per prima cosa, metterci in testa di determinarla in noi stesse.

I retaggi sono difficili da sconfiggere, ci vuole perseveranza e un investimento nel “fuori” dalla famiglia, dalla casa, dai ruoli.

La storia di emancipazione non è cambiata grazie alle leggi che hanno fatto gli uomini, è cambiata grazie alla determinazione di donne come noi che una mattina si sono svegliate e hanno detto: No, ora basta.

Una fra tutte Franca Viola.

No, ora basta. Ci sono. Esisto. Voglio avere il tuo stesso passo. Perché è giusto così.

La giustizia va perseguita con forza. E prima o poi le cose cambieranno.

Perché quasi ogni giorno, nel nostro Paese sessista, muore una donna. È questo che non dobbiamo dimenticare, mai.

Muore una donna. Una di noi.

Questo ci deve bastare per indignarci ancora e ancora.

Penny

Rispondi