Ieri mi sono fatta una passeggiata con mia figlia. Non capitava da tempo che lei avesse un pomeriggio libero dallo studio. Così, siamo uscite io, lei e Alaska.

Ci siamo inerpicate per una salita, e non so come ci siamo ritrovate a parlare di me, avendo diciott’anni di solito è lei il centro delle nostre conversazioni.

“Sai mamma” mi ha detto a un certo punto “a volte penso alle persone che hai perso per strada, credo che tu possa dare fastidio”.

“In che senso?” le ho chiesto un po’ preoccupata.

“Mi riferisco alle amiche che non hai più, a chi ha sentito il bisogno di criticare le tue scelte, in fondo, penso che questo tuo essere riuscita a fare ciò che desideravi le abbia spaventate. Tu vivi da sola, ci stai crescendo da sola, hai comprato una bettola di casa ( e qui si è messa a ridere?) poi hai iniziato a scrivere, sì, insomma, hai rivoltato la tua esistenza, hai cercato di stare bene”.

L’ho guardata. Ho capito appieno cosa intendesse dire o forse era lei ad aver capito me e la nostra storia.

Le ho spiegato che mi sono scrollata di dosso il giudizio da tempo, ne ho sofferto, ma è stato questo in parte a salvarmi.

Lei lanciava un legnetto ad Alaska e mi ascoltava attenta. Il suo sguardo su di me negli ultimi tempi è cambiato.

Le ho spiegato che ci sarà sempre qualcuno a cui non andrà bene quello che stiamo facendo e per le donne il rischio di essere valutate è doppio, triplo e quadruplo, non ci si aspetta da noi delle “rotture” dagli schemi.

Ci si aspetta che l’essere mansuete sia una dote naturale e ci si aspetta che siamo felici solo perchè siamo mogli e madri. A volte non ci si chiede se abbiamo altre aspirazioni.

Chi rompe il soffitto di cristallo è uno specchio in cui guardarsi, credo sia questo a fare paura. Ognuno fa quello che può, nel momento in cui può e io ho fatto quello che credevo giusto per me.

“Fino a quando ho cercato di essere giusta per gli altri, ho combinato dei grandi casini. Non vale la pena costringerci in una vita che non ci appartiene. Non farlo mai” le ho detto accorata.

Alaska correva su e giù come una matta, un batuffolo di pelo.

“Mamma, io la amo” mi ha detto lei riferendosi alla cagnolina e poi ha aggiunto “è più felice quando è libera”.

Esattamente come gli umani.
Esattamente come tutti noi.

Mi sono fermata avevo il fiatone,
l’ho tirata appena per un braccio, si è voltata e mi ha sorriso.

“Non c’è nessuna urgenza” le ho detto, “se non quella di andare alla ricerca del tuo senso. Cercare chi ci fa stare bene e cosa ci fa stare bene. Non sforzarzi di essere qualcosa che non siamo, non funziona”.

Lei lo sa, perchè io l’ho capito e ho rinunciato al resto. Una “sicurezza affettiva”, un ruolo sociale riconosciuto, una tranquillità economica. Ho rinunciato a quello che ci si aspettava da me.

“Non è stato facile, vero?”.

“No” le ho risposto, “ma non c’è niente di più importante, se non quello di essere donne libere”.

Siamo arrivate in cima, Alaska ci aspettava con la lingua a terra. Genova era sotto di noi, lucine e tetti grigi.

Ho pensato alla paura che ho avuto di perdere il bene delle mie figlie, ho pensato a quanto mi sbagliavo.

La libertà porta con sè solo doni, è contagiosa e rende felice anche chi ci sta vicino. Soprattutto i figli.

Penny