Ho sempre sperato che le mie figlie andassero oltre loro stesse. Ho provato ad insegnargli, come ha fatto mio padre con me, a non abitursi alla povertà. A non voltarti dall’altra parte di fronte alle ingiustizie.

Ho sperato come madre con non si occupassero solo del loro benessere ma si guardassero intorno.

La mia girl grande ha parlato spesso della possibilità, dopo il liceo, di fare un anno di volontariato all’estero, un desiderio che non so se vorrà ancora realizzare ma che è esistito e che condivido.

Esiste anche la paura, soprattutto, se sei una ragazza, sai a cosa puoi andare incontro, inutile negarlo, oltre al resto.

Eppure Silvia Romano è partita, nonostante il pericolo che le cose non filassero lisce, ha lasciato la sua casa, i suoi affetti, le comodità, per un’attività umanitaria a Chakama, un villaggio a 80 chilometri da Malindi, in Kenya.

Silvia si era laureata pochi mesi prima del sequestro in mediazione linguistica con una tesi sulla tratta degli essere umani, era il febbraio del 2018.

In quell’estate è già nella contea di Kilifi, vicino a Malindi, sulla costa del Kenya prima con la onlus “Orphan’s Dream” e poi con “Africa Milele”.

Su Facebook Silvia scrive di sogni e passioni, i suoi non sono una macchina nuova, un bel vestito, divertimenti o cosa, sono legate ad un mondo dominato dalla cooperazione e dall’aiuto tra i popoli.

Eppure, ricordo bene i commenti quando è stata rapita, ricordo le polemiche: una giovane, per di più donna, che va in Paesi di quel tipo, è una che se la va a cercare.

Non oso immaginare quanta paura abbia avuto.”Ho resistito, sono stata forte” ha detto a sua madre e suo padre ed io la considero un po’ figlia nostra.

E non della nostra Italia, non solo per lo meno, la considero figlia di un’umanità ritrovata.

Quella che scavalca il cancello di casa, i muretti del quartiere, lo spazio delle città, i tralicci degli Stati e ci racconta un’umanità differente.

Solidale.

E, allora, penso a tutti i cooperanti, a chi guarda oltre se stesso, a quel coraggio e ho solo un’infinita ammirazione.

Che una ragazza dica di sé stessa, in questo tempo in cui le donne vengono ancora massacrate, in cui si ha paura a far uscire le proprie figlie, dopo quello che ha passato: “Sono stata forte, ho resistito” è un inno alla speranza.

Perché, dobbiamo ricordarlo, non è Silvia quella che ha sbagliato, lei fa parte di quell’ umana gioventù che che va alla ricerca del senso nella propria esistenza.

Certo, immaginarla a casa, magari con un ragazzo accanto, sarebbe stato più rassicurante ma lei ha fatto una tesi sulla tratta degli esseri umani e, forse, quando conosci certe cose non puoi stare più e solo a guardare.

E, comunque, non è stata in attesa. E quando non si sta in attesa, ci si apre al mondo e alle sue possibilità, si corrono dei rischi, a volte, molto alti.

E, niente, oggi, credo che tutti noi, soprattutto chi bazzica qui, aspettiamo il suo ritorno con grande gioia.

Aspettiamo che ancora una volta ci dica: “Sono stata forte. Ho resistito”.

Aspettiamo il rientro a casa, per noi, per i nostri giovani e per le nostre figlie che non smettano di muoversi nel mondo.

Oggi torna a Silvia e con lei torna la voglia di cercare il senso nelle nostre esistenze.

Torna la gioia. Dopo il buio.

Torna quell’umanità che ogni tanto perdiamo per strada. Ma, come Silvia ci ricorda, è forte e sa resistere.

Penny

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