Non è vero che possiamo tutto. Intendo conciliare lavoro e famiglia. Sostenere emotivamente, essere buone madri, buone compagne e fare un lavoro che ci soddisfi e magari fare carriera.
Forse, chi è ricca, può permettersi una tata, una persona di servizio, (ad ogni modo sempre un’altra donna più povera, immigrata o no, pagata in nero) che la sostenga nella cura.
Ma la maggior parte delle donne ha lavori precari, viene sottopagata, si licenzia per badare ai figli o viene licenziata perché potrebbe fare dei figli.
Farci pensare che possiamo tutto è un tranello del sistema sociale patriarcale.
Così come portarci a pensare che abbiamo una “marcia in più” e che il sacrificio lavorativo è niente rispetto alla gioie della maternità. Sottotitolo: nessun uomo è attrezzato per prendersi cura dei figli come sappiamo fare noi.
Riusciamo a badare a tutti, casa, bambini, suoceri, con l’emicrania o le coliche renali (d’altronde partoriamo e sappiamo sopportare il dolore) e come noi non c’è nessuno.
E infine, che vuoi che sia, per la beatitudine, rinunciare a uno stipendio decente, ad un lavoro che ci appaga, per cui abbiamo studiato tanto e magari ottenuto anche ottimi voti?
Non è vero che possiamo tutto, perché nel mezzo del cammin della nostra vita ci lasciamo il cuore, la pelle, i nervi, la salute.
E mentre noi ci lasciamo l’esistenza intera, gli uomini procedono, fanno carriera, guadagnano di più, fanno rete, detengono il potere economico, politico e sociale.
Si siedono ai tavoli. Parlano e ci spiegano come va il mondo.
Finché continueremo ad accettare di poter fare tutto, ci sarà una deresponsabilizzazione degli uomini. Padri, mariti, fratelli e figli. E magari qualcuno di loro entrerà in politica e penserà di poter parlare anche per noi.
Noi possiamo fare tutto ciò che è legato alla cura, ma non possiamo fare la cosa più importante: decidere.
Il che equivale a dire: attraverso questi stereotipi della santificazione della madre e moglie multifunzionale ci mantengono sottomesse.
Ci sottomettono anche quando ci dicono che siamo più intelligenti.
Giulia Blasi lo chiama sessismo benevolo. Il sessismo benevolo offre alle oppresse un motivo per rallegrarsi della propria oppressione. Le colloca su un piedistallo e poi le lascia lì e da quel piedistallo però si può solo cadere, non di certo scendere.
È così che ci sacrifichiamo, azioni su azioni, siamo una e cento, per non lasciare indietro nessuno, per tenerci uno straccio di lavoro, perché non si lamentino delle nostre mancanze.
Perché ci arrivi il latte della quantità giusta, perché l’inserimento al nido non sia traumatico, perché i figli e non solo si sentano abbastanza accuditi, perché non prendano brutti voti, perché la casa sia accogliente e le mani preparino cibi sani, perché non si dica che non siamo capaci di parsimonia: il detersivo in offerta al supermercato sotto casa, l’ammorbidente all’altro capo della città.
Ed è così che mandiamo avanti il sistema senza rendercene conto, ed è per questo che stiamo male e spesso non riusciamo a dare un nome a quel male.
Ed è per questo che ogni tanto, una di noi, dice basta e decide di lasciare il proprio compagno-uomo-marito e lui non se ne capacita convinto di averci dato tutto. Carnefice inconsapevole del sistema?
C’è qualcosa di più grande che attraversa le nostre vite, più ne divento consapevole più mi incazzo e, a volte, penso che sarebbe meglio ignorare, perché è faticoso, tanto faticoso.
Poi, guardo le mie figlie, le mie bambine a scuola e anche i miei bambini, e vorrei dare il mio contributo affinché la loro vita di adulti e adulte sia più equa.
Poi guardo la mia vita e mi dico che vale la pena sapere e incazzarsi, più che prenderla in quel posto.
Penny❤️
Se volete cercarmi questi sono i link del mio romanzo e del mio albo illustrato. In uscita a giugno un libro di letteratura per l’infanzia.
https://www.ragazzimondadori.it/libri/ai-figli-ci-sono-cose-da-dire-cinzia-pennati/
http://old.giunti.it/libri/narrativa/il-matrimonio-di-mia-sorella/