Esistono le madri che fanno le torte per le feste di compleanno dei figli e quelle che le comprano. Tipo me.
Ho smesso di competere da molto, moltissimo tempo. All’inizio no. All’inizio ero così dentro al ruolo che mi sono fatta trascinare dal “fai da me”. Trova la sala, addobbala, gonfia palloncini su palloncini, invita tutti i bambini e le bambine, zii, nonni, cugini, amici degli amici, prepara ogni ben di Dio e muori.
Il “fai da me” ha origini antiche, nella convinzione che noi donne dobbiamo arrivare a tutto, essere supermadri. Un padre, solitamente, non prepara e organizza la mega festa di compleanno per i suoi figli, non prepara la torta, a volte non c’è neppure (se ci va bene é colui che porta le bibite e scappa al lavoro con la gratitudine degli astanti perché è riuscito a passare). Se un padre non fa, non c’è, non riesce, non ha nessuna croce di giudizio sulla sua paternità. Insomma non si sente un cattivo padre e nessuno lo fa sentire un cattivo padre.
Per noi la storia è diversa, noi madri non possiamo essere semplicemente delle persone più o meno felici, dobbiamo dimostrare al mondo che quel vestito che ci hanno cucito addosso uguale per tutte-di cui la società ha tremendamente bisogno-, lo calziamo a pennello.
Che madre e moglie ( mettiamoci anche il sessismo inconsapevole del marito) sarei stata se non avessi fatto e strafatto? Anche quando sono rimasta sola ho continuato dentro al delirio della missione: essere una supermadre. Fare il mio e il suo è quello di tutti.
Poi ho capito.
Ad un certo punto mi sono guardata intorno e ho pensato: ma perché? Perché devo morire?
Così ho iniziato ad abdicare, ho iniziato a sollevarmi, a guardare le altre madri, quelle onnipresenti e onnipotenti e ad alzare subito bandiera bianca. Io non competo: puoi essere migliore di me.
E quando ho smesso di competere e ho iniziato a fare quello che mi sentivo, non solo io sono stata meglio, ma anche le mie figlie erano più serene. Perché quando cerchiamo di rispondere ad un ideale che ci porta alla sottomissione, il più delle volte chiediamo il conto.
Questa storia della competizione tra noi donne, che ci trascina in una spirale pericolosa e utile al maschile, fa male principalmente a noi e ai nostri ragazzi, perché finiamo con il far competere anche loro.
Quindi, se la torta non la fa mia sorella – che è bravissima- io la compro, di solito quella delle rose che costa pochissimo. L’anno scorso, il giorno del compleanno di mia figlia non ci sono stata e abbiamo festeggiato il giorno dopo, lei me lo rinfaccia e ci ridiamo su. Il diciottesimo della grande sapete come é andata, non c’erano soldi e la storia della principessa per un giorno, la detesto, quindi abbiamo trovato soluzioni alternative.
Non ho bisogno e non ho più voglia di fare la parte che dovrebbe fare la società, penso agli asili nido, ai servizi che ci solleverebbero dal carico imposto, né la parte anche degli uomini, padri e mariti. Per cosa poi? Per avere la carota dopo il bastone?
Per sentirmi dire che sono brava?
Non mi interessa più quella domanda, la mia, adesso, ha a che fare solo con lo star bene.
E se si abdica e si smette di competere con le altre donne ( pensate a quanto ci fanno competere in termini di bellezza) succede che anche gli altri, mariti e padri, a volte, inizino a rimboccarsi le maniche.
E, soprattutto, che i figli stiano meglio con madri meno “brave” ma decisamente più serene e felici.
Penny ❤️
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